L’espessione “Homo Ludens” vi dice nulla?
 

Il primo ad usarla fu lo storico olandese Johan Huizinga per riferirsi al ruolo centrale svolto dal gioco nello sviluppo della civiltà umana: “Da molto tempo sono sempre più saldamente convinto che la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco” (J. Huizinga).
Il gioco in effetti è presente da sempre e ovunque. Il gioco coinvolge, unisce, fa sentire partecipi. Piace a tutti a prescindere dall’età.
 

Le aziende, alla perenne ricerca di formule magiche che coinvolgano e creino engagement, lo hanno compreso bene e si parla sempre più spesso, da diversi anni ormai, di gamification come strumento di coinvolgimento e acquisizione.
 

Che cos’è la gamification?

 

Con l’espressione “Gamification” si intende “l’utilizzo di elementi mutuati dai giochi e delle tecniche di game design in contesti esterni ai giochi. Il termine gamification è stato introdotto per la prima volta in pubblico nel febbraio 2010 da Jesse Schell, un famoso game-designer americano, alla “Dice Conference” di Las Vegas.” (Wikipedia).
 

Perché si parli di Gamification, quindi, non possono mancare le logiche tipiche dei giochi: punti, ricompense, obiettivi, classifiche.
Il Marketing non è il solo settore in cui si applica con successo, può essere un ottimo strumento anche in chiave interna nella formazione aziendale ad esempio, o ancora per il recruiting.
 

Gamification e Brand

 

Direste mai che il primo esempio di Gamification utilizzata ai fini di marketing risale agli anni ‘80? A lanciarla fu McDonalds. Ispirata al gioco Monopoly, l’iniziativa di McDonald’s risale al 1987 e metteva in relazione l’acquisto di menu e prodotti con la collezione di ticket, ciascuno dei quali raffigurante una parte del pannello del gioco: la sfida era collezionare tutti i pezzi di uno stesso colore in cambio di un premio.
 

 

Più recente invece l’iniziativa di Starbucks con My Starbuck’s Reward. Si tratta di un’applicazione con cui i clienti in cambio di determinate azioni possono guadagnare punti raffigurati come tazze piene di caffè, che si possono tradurre in consumazioni extra, omaggi, un set di prodotti e offerte customizzate sulla base degli interessi del singolo.
 

 

L’assistenza post-vendita e il customer care.

 

Alcuni brand come AMEX hanno usato le logiche tipiche della gamification per intrattenere i clienti durante i tempi di attesa al telefono: twittando un contenuto sul brand o sui prodotti usando determinati hashtag si potevano ottenere punti da utilizzare come sconti e bonus per gli acquisti successivi.
 

Gamification e dipendenti

 

Tra i più famosi casi di iniziative di gamification rivolte ai dipendenti figura “Road Warrior”, il programma di formazione avviato da SAP per la propria forza vendita. Un vero e proprio gioco che attraverso quesiti da risolvere consente ai venditori di completare le missioni e ottenere così punti e badge.
 

Gamification e Recruiting

 

Heineken con The Interview ha rivoluzionato il mondo del recruiting creando un portale interattivo in cui la candidatura è il risultato del superamento di tutta una serie di step che rende un colloquio virtuale una sorta di gioco a più tappe.
 

E poi ancora Employerland il primo social game dove i giovani hanno la possibilità di entrare in contatto con delle vere aziende. Tramite sfide e quiz, i job seekers hanno la possibilità di misurare le proprie competenze e testare la loro conoscenza sui brand, candidarsi alle posizioni aperte e incontrare le aziende dei loro sogni.
 

Conclusioni

 

Perché un’azienda dovrebbe far giocare i propri utenti/dipendenti?
Perché attraverso le dinamiche tipiche dei giochi è possibile offrire esperienze ed emozioni positive. Il gioco coinvolge e consente all’utente di star bene, divertirsi, immedesimarsi con il mondo del brand. Il divertimento quindi non è l’obiettivo ma il mezzo per raggiungere determinati obiettivi.
Le modalità possono essere diverse (applicazioni, siti web, …), l’importante è che non manchino livelli, punteggi, ricompense.
Giocando le persone apprendono più facilmente quindi mai perdere di vista gli obiettivi, i messaggi o i valori che vogliamo trasmettere.