Illustrazione di Jacopo Rosati
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I protagonisti sono impegnati nella risoluzione di una faccenda alquanto misteriosa. Armati di lente di ingrandimento e forza di volontà, il nostro Sherlock e il suo fedele collega, il dottor Watson, scopriranno cosa si nasconde dietro alla parola “customer experience”. Sono stati ingaggiati niente meno che dai marketer, una particolare cerchia di studiosi e lavoratori che devono assolutamente soddisfare le aspettative dei propri clienti.
Le sponde del Tamigi iniziavano ad essere illuminate dalle lampade a olio che si riflettevano nell’acqua grigiastra del fiume. Lì vicino, in un pub frequentato da gentiluomini, Sherlock Holmes stava fumando la sua pipa. Al suo tavolo che dava sulla finestra sulla strada principale c’era il solito ospite.
Sherlock: Watson, mi ritrovo immerso in un’analisi interessante. Il marketing come noi lo conosciamo si caratterizza oggi per una rilevante profondità e complessità. Non so se ci sia una parola in grado di descriverlo, forse la più adatta risulta, in ultima analisi, essere “mondo”. Sì perchè nel tempo questa disciplina, ormai non più così giovane, ha assunto sfaccettature dettagliate, particolarità singolari e si è adattata ad un continuo cambiamento. Oggi il marketing che conosciamo è una disciplina ampia, strutturata in diverse categorie e con proprie specificità. In particolare, ciò che nel corso degli anni più si è evoluto è il ruolo del marketing, i suoi obiettivi, la sua ragione d’essere e di esistere. Un’evoluzione continua che ha portato ad un marketing ricco di esperienza e dal grande potenziale innovativo.
Mi sto quindi domandando, caro Watson, quale valore apporta il marketing nel 2022?
Watson: Ma Sherlock, quale ragione risiede dietro questo suo improvviso interesse? In un momento come questo, gli anni 20 del XXI secolo, in cui incertezze e difficoltà preoccupano la società contemporanea, le sembra il caso di occuparsi di marketing?
Sherlock: Elementare Watson! Il marketing, questa affascinante disciplina, è parte integrante dell’economia, oggi così sofferente, e parte quindi della soluzione e della ripresa che questa conoscerà presto! Inoltre, mio caro Watson, un gruppo di studiosi e attenti lavoratori del settore, mi ha chiesto di indagare su questo tema per comprenderne alcuni aspetti nascosti e intrinsechi. Comunque, continuiamo con ordine… Dove eravamo rimasti? Ah giusto, il valore del marketing:
- il marketing aiuta a conoscere. Oggi è possibile raccogliere le informazioni in tempo reale, avendo a disposizione dati sempre aggiornati e deduzioni per le proprie strategie di comunicazione. Inoltre, data la trasversalità della disciplina, il marketing permette di avere un contatto continuo con tutte le funzioni interne dell’azienda, mantenendo uno strategico allineamento interno;
- il marketing serve per creare relazioni di valore, portando l’azienda ad interfacciarsi direttamente con il cliente, ad ascoltarlo, a comunicare in modo diretto e a personalizzare il rapporto in un’ottica one to one;
- il marketing rende pronti per l’innovazione. Nel marketing vi è la continua esigenza di arrivare primi per cogliere le opportunità presenti nel mercato e per rafforzare il proprio posizionamento e il proprio vantaggio competitivo. Questa tensione porta le organizzazioni a tenere gli occhi sempre aperti per non perdere importanti occasioni e consente di rimanere sempre aggiornati per generare nuove idee e strategie.
Se in passato le strategie di marketing erano orientate principalmente al prodotto, con il passare del tempo (e di diverse fasi e approcci alla materia) non è più così: il marketing di oggi vuole creare delle esperienze di valore, vuole curare la relazione con il cliente e con tutti gli stakeholder con cui l’azienda entra in contatto e punta verso lo studio e la realizzazione di un posizionamento forte e distintivo dell’azienda, dove nulla viene lasciato al caso. Interessante Watson, questa disciplina mi somiglia molto: perseveranza e curiosità ne alimentano i presupposti in una maniera singolare!
Parallelamente un altro quesito interessante a cui rispondere è: cosa si intende per esperienza?
Watson: Il suo interesse per questo ambito è da ammirare Sherlock, continui continui la sua curiosità è contagiosa.
Sherlock: Da molto tempo il mio assioma è che le piccole cose sono di gran lunga le più importanti, Watson. L’esperienza. Generare un’esperienza significa legare qualcosa di unico e memorabile alla relazione tra marchio e consumatore. In particolare, esiste una vera e propria branca del marketing, chiamata marketing esperienziale, che in un contesto estremamente competitivo, come quello del mondo digitale, si pone l’obiettivo di creare esperienze concrete e di valore. L’esperienza incuriosisce, coinvolge, ingaggia e conquista facendo leva sui sentimenti, sulla sfera emotiva e intima dell’utente stesso. Creando la giusta esperienza per il giusto pubblico, sarà possibile creare una connessione tra il valore offerto dall’azienda e il valore che ogni persona ha da offrire.
Tuttavia, quando si parla di esperienza si parla anche di customer experience: è fondamentale, prima di creare eventi dalla forte portata creativa (come una pista da corsa brandizzata, iniziativa singolare oserei dire), governare in modo puntuale l’esperienza che il consumatore ottiene nel momento dell’acquisto e in ogni fase di quello che oggi prende il nome di customer journey.
Watson: Piste per la corsa? Create da un’azienda? Esperienze? Il XXI secolo sembra interessante, soprattutto per il fatto che le persone sono poste al centro. Ai nostri tempi le cose erano un po’ diverse, non trova Sherlock?
Sherlock: Condivido Watson, forse le persone ai nostri tempi non erano la preoccupazione principale. Ma Il mondo è pieno di cose ovvie che nessuno si prende mai la cura di osservare. E in queste cose ovvie risiede spesso un importante tesoro. A proposito di questo, un modo per ottimizzare e governare la customer experience è definire in modo puntuale una solida strategia di trade marketing. Il trade marketing o marketing commerciale è un’insieme di strategie di marketing che si pongono come principale obiettivo quello di rendere efficiente ed efficace le interconnessioni tra i diversi protagonisti del processo di acquisto. In particolare, il trade marketing vuole rivolgersi ai distributori per coltivare una solida relazione in ottica B2B2C. Il marketing commerciale nasce molto tempo fa. Nel Giappone del XVII secolo, infatti, Mitsui, importante e ancora attuale multinazionale del paese, aprì il primo grande magazzino. La sua particolarità consisteva nella sua visione futuristica: questo negozio ha infatti anticipato di circa 250 anni le pratiche di politica commerciale. Incredibile, mettendo al centro il cliente, Mitsui ha concretizzato e valorizzato le logiche del trade marketing in un’era dove di marketing nemmeno si parlava.
Ovviamente con il passare del tempo (e dei secoli) il trade marketing è cambiato. D’altronde Watson, chi meglio di noi può notare l’immensità dei cambiamenti avvenuti nella società nel tempo. La tecnologia e il progresso nelle strategie di marketing hanno cambiato lo stile di vita del target (e del mondo in generale), il prodotto, le abitudini, i processi di acquisto e le esperienze legate allo stesso. Il cambiamento ormai è parte integrante della società: oggi non basta più conoscerlo, ma prevederlo e dominarlo.
Watson: Sherlock ma forse mi risulta poco chiaro questo concetto. Cos’è il marketing commerciale? Quali aspetti ne influenzano le strategie?
Sherlock: Sto cercando anche io di informarmi meglio e di capirne di più. Secondo il modello presentato da Semetis, leader del mercato belga in Digital Advertising & Digital Business Intelligence, il trade marketing:
- Permette al retailer di sbloccare maggiori budget di marketing e comunicazione che genereranno ricavi incrementali. Questo porterà anche a un possibile aumento della quota di mercato rafforzando la posizione del retailer all’interno del contesto competitivo. Il Trade Marketing è quindi un modo per i rivenditori di stimolare la propria crescita.
- Permette al fornitore di aumentare la propria portata e visibilità online e sul sito web del retailer. Il Trade Marketing sarà quindi in grado di stimolare un potenziale aumento della quota di mercato del fornitore rispetto agli altri fornitori del retailer. Infine, un’efficace gestione delle strategie di marketing commerciale, rafforzerà il rapporto tra il fornitore e il rivenditore, generando benefici ed opportunità incrementali.
Se questo è vero, allora il Trade marketing rappresenta una strategia dal forte potenziale, Watson, e fondamentale per cogliere le opportunità derivanti dalla connessione delle diverse parti del processo di acquisto.
Per concretizzare una strategia di Trade Marketing, e realizzare una buona customer experience, è importante partire dalla definizione di quattro aspetti:
- partnership e collaborazioni. La base di partenza consiste nell’individuare brand e fornitori competenti, proattivi ed affidabili con cui poter costruire delle relazioni solide e di valore;
- obiettivi. Definire soglie comuni da raggiungere permetterà di indirizzare le attività delle parti coinvolte garantendo ordine e coordinazione;
- tecnologia. Per lo sviluppo, la costruzione e la massimizzazione dei risultati delle campagne pubblicitarie è importante basarsi sulla propria dotazione tecnologica. Questo permetterà l’accesso a dati sempre aggiornati dai quali potranno essere ricavati insights e spunti utili.
- innovazione. Continuare ad apprendere dall’andamento delle campagne, sfruttando il dato come bussola per orientare strategie e attività è di importanza strategica e rappresenta l’elemento chiave per perseguire il miglioramento delle proprie attività e l’innovazione dei presupposti alla base.
Vede Watson, da quanto ho appreso oggi il digitale influenza ogni aspetto della vita delle persone. E ovviamente del mercato, dell’economia e del marketing stesso. Ma come sta evolvendo il Trade Marketing? In che modo la trasformazione digitale ne influenza i presupposti?I social media, con la loro portata innovativa dirompente, hanno modificato profondamente la società. Quello che prima si cercava nella vetrina di un negozio ora lo si cerca sui portali social o sui motori di ricerca, quello che prima si acquistava in loco, ora lo si acquista con un semplice click. Il marketing commerciale non è esente da questo cambiamento: in una logica B2B2C, i social possono avvicinare il produttore al consumatore finale, creando esternalità positive anche per il retailer. Quanto maggiore sarà la curiosità e l’interesse maturato dal target, maggiori saranno le richieste di informazioni, le ricerche e le attivazioni di quest’ultimo nei confronti del retailer.
Watson: Ma perché allora il produttore non incrementa la propria influenza sul target fino a bypassare totalmente il retailer?
Sherlock: Ottima osservazione, mio caro Watson. Sono proprio le soluzioni più semplici quelle che in genere vengono trascurate e la scelta dipenderà sicuramente dalla storia, dalle risorse e dalle capacità del produttore ma quello che si può affermare è che il retailer è in grado di godere di diverse economie che gli permetteranno di operare in modo più efficiente rispetto al produttore. Economie di scala dato il quantitativo di merce messo a disposizione, economie di scopo date dalla molteplicità dei prodotti, economie di esperienza maturate nel tempo e così via… E tutti questi vantaggi avranno poi un riflesso sul prezzo e quindi sull’esperienza di acquisto del consumatore. Un modello in cui vincono tutti è pertanto possibile.
Watson: Se le cose stanno così, cosa dovrebbe comunicare il produttore al pubblico?
Sherlock: Quante domande mio caro, ma la risposta è molto semplice, ovvero non esistono regole! Spesso una comunicazione naturale, sincera e fatta su misura è ciò che serve. Alcuni esempi? Aggiornamento sugli sviluppi delle attività, sulle innovazioni di prodotto, sulle novità e le promozioni e così via… In particolare, secondo WrightObara, un’importante agenzia di trade marketing in UK è importante:
- Affrontare i pain point del pubblico in una chiave positiva, ovvero comunicando la soluzione offerta dall’azienda per risolvere tali disagi;
- Essere visivi per cogliere l’attenzione in un contesto dove quest’ultima risulta essere il bene più raro;
- Agire per stimolare l’ingaggio del target ponendo domande al fine di alimentare la discussione;
- Dare spazio alla creatività con iniziative e messaggi forti e distintivi;
- Dare spazio alla storia e ai valori del marchio e ai loro riflessi nel prodotto e nelle strategie adottate.
Inoltre, non tutto gira intorno al prodotto.
Infine, per comunicare il prodotto, il video risulta essere la scelta migliore sui social data la loro capacità di cogliere l’interesse dei consumatori. Il punto di forza del video come formato comunicativo risiede nella sua capacità di facilitare la percezione del prodotto per l’utente, permettendogli di inquadrarlo e vederlo inserito in un contesto concreto, nonostante la situazione di distanza. Inoltre, i video riescono spesso a giocare sulle emozioni delle persone aumentando in questo modo il loro impatto sul target stesso.
Caro Watson, forse ci siamo. È chiara la connessione. In un contesto in cui la customer experience, intesa come l’esperienza complessiva relativa alla relazione tra brand e utente per ogni momento del customer journey, risulta di fondamentale importanza per i business, il trade marketing, se gestito e studiato in modo puntuale e attento, può rappresentare uno strumento utile. In particolare, si dovrebbe passare dal considerare il trade marketing una strategia a sé e separata dagli altri aspetti del marketing (apparentemente più vicini all’esperienza del consumatore), a considerarlo una strategia preliminare a servizio di tutta la complessiva strategia di marketing. Non “dal trade marketing all’experience”, ma“trade marketing per l’experience”.
Si era ormai fatta sera in quel piccolo pub lungo il Tamigi. I due uomini uscirono e camminando affiancati si diressero verso un vicolo buio. Solamente il bagliore di una pipa accesa segnalava a intermittenza la loro presenza.