In un interessante congresso, Where 2.0 , tenutosi in California in Aprile, molti studiosi di marketing si sono ritrovati per offrire una panoramica a 360° sulle nuove app che permettono di fare geomarketing e sui presupposti e le implicazioni che questo nuova strategia di marketing comporta.
A mio parere, molto interessante è stato l’intervento di Genevieve Bell, antropologa, che ha affrontato il tema della localizzazione da un posto di vista socio culturale. Nel fare geomarketing, prima di tutto occorre confrontarsi con il concetto stesso di luogo.
Il contesto geospaziale non ha solo a che fare con il posto in cui ci troviamo, ma anche con il luogo da cui veniamo e con quello verso il quale siamo diretti.
Attraverso alcuni esempi Genevive Bell spiega come il concetto di luogo presuppone dei riferimenti culturali, sociali e identitari:
- Parlare di luoghi significa anche parlare della storia che ruota attorno a quei luoghi. Un esempio esplicativo a questo riguardo ci è offerto dalla stessa antropologa che racconta come in Corea le strade non siano identificate attraverso i loro nomi, ma piuttosto grazie agli edifici e alla storia delle persone che vi sono passate. Ognuno, muovendosi, porta con sé la propria storia e i luoghi sono i primi grandi contenitori nei quali inquadriamo le nostre esperienze pregresse.
- Ogni luogo implica una relazione sociale. Quando ci dirigiamo verso una destinazione, implicitamente ci prepariamo a ciò che ci attende ed è compito delle nuove tecnologie rendere più agevole il nostro spostamento, offrendoci dei servizi che potrebbero risultarci utili per muoverci in quel contesto spaziale.
- Condividere il luogo in cui siamo significa contribuire a costruire la propria identità. Nel momento stesso in cui posto sulla mia pagina di Facebook la mia destinazione comunico agli altri utenti i miei gusti, i miei interessi, le mie esigenze ( di lavoro, di relax, di divertimento …) e esprimo una condizione non solo fisica, ma anche mentale.
- La collocazione spaziale implica anche una collocazione temporale. Non solo è importante offrire servizi che siano coerenti con il luogo in cui siamo, ma risulta fondamentale considerare anche il momento in cui questi servizi possano dimostrarsi più utili. Risulterebbero inutile comunicare la posizione del proprio ristorante senza indicarne gli orari di chiusura, permettendo così al cliente di validare l’utilità del servizio offerto, nel momento in cui vorrebbe usufruirne.
Altri spunti interessanti che sono emersi durante alcuni interventi riguardano Foursquare:
il vantaggio di individuare la posizione del proprio cliente diventa nullo nel momento in cui non si offrano suggerimenti coerenti con le sue necessità. I suggerimenti possono essere “customizzati” in modo da ottenere un maggiore impatto sulle scelte del potenziale cliente.
A questo proposito la history di un’applicazione come Forsquare permette di ricostruire una cronologia dei luoghi in cui gli utenti sono stati e quindi tracciare un profilo delle loro abitudini e attivare suggerimenti che ottengano una percentuale più alta di conversione.
E’ così che le mappe virtuali (create tramite mobile, computer,… ) diventano mappe “viventi” nelle quali il luogo come contesto spaziale diviene l’insieme delle persone che sono qui e ora.
I tweet, i post in Facebook, i “Check in” su Foursquare raccontano agli altri ciò che facciamo e ciò che siamo e implicano uno sforzo da parte di chi si occupa di geomarketing di individuare non tanto “dove siamo” ma il perché siamo in quel luogo, dove potremmo voler andare e cosa può servirci per farlo.
Fare geomarketing non significa solo trovare il cliente, ma anche interpretarne i bisogni e cercare di capire ciò che ogni luogo significa o può significare nel momento in cui lo vivo come persona dotata di una chiave di lettura sociale e culturale.
“Location isn’t about spots on a maps. It’about people” (Genevieve Bell)