Mi capita di recente di seguire diversi progetti e-commerce based. E le riflessioni fioccano. Prima di tutto mi tocca frenare un entusiasmo liquido che sta pervadendo i vari social, tutti sul social commerce! Al solito siamo al carro davanti ai buoi, lo strumento prima della strategia, il vendere prima di strutturare un flusso robusto. Verrebbe facile trasformare in 5P o 4 consigli questo articolo, ma è forse meglio buttare li, alla gogna del dibattito, quattro considerazioni quattro:
- La rete non migliora i prodotti, e nemmeno le aziende: il primo punto da affrontare è legato al fatto che l’idea di partenza, il prodotto di base e l’azienda che sta alle spalle del progetto devono essere efficaci. Se il prodotto non va off line perché il distributore (esperto, furbo, che fa quel mestiere da 30 anni) te lo ha rifiutato, sei sicuro che sia colpa della sua scarsa lungimiranza? Il prodotto che vogliamo vendere ha alle spalle delle riflessioni sul pricing, sul flusso di vendita, sulla gestione dei pagamenti? Siamo al paradosso dell’ottimizzazione della funnel analysis quando ai più mancano il cestino di vimini e le scaffalature
- Il consulente non è un mago: Mi piace pensare che il consulente debba guadagnarsi la pagnotta, garantendo una profondità verticale in termini di conoscenza ai propri assistiti. Non possiamo non passare dall’advertising alle affiliazioni, dal SEO al mail marketing se lavoriamo in questo settore. La competenza “orizzontale” su distribuzione, pricing, comunicazione off line etc.. non è però così scontata. Anche chi propone il prodotto deve mettercene del suo e il modello “il web come ultima spiaggia prima di chiudere” non paga, almeno nella mia esperienza
- Se oggi sei on line, domani non sarai alle bahamas: ho visto un pò di persone che hanno fatto i soldi in rete, con la rete. Nei modi più disparati, dai consulenti ai venditori, dai ciarlatani agli acuti giornalisti. Difficilmente ho però visto applicati modelli di economia della conoscenza con l’inventore a spassarsela e il business che va da solo, pensiamo ad esempio alla million dollar page, sicuramente ne è valsa la pena, ma anche in questo caso divertentissimo e profittevole l’ideatore ha dovuto metterne un pò del suo, figuriamoci in un caso “vero”.
- Fidarsi delle convenzioni potrebbe essere un errore: recentemente ho parlato con una persona che con la rete lavora molto bene, e guadagna con un modello di e-commerce puro, poco pubblicizzato ma molto redditizio. Mi ha detto senza mezzi termini che, oltre a non fare un giorno di ferie da due anni per curare il suo business, ha riscritto “in proprio” le regole del web marketing: approccio 80% pay per click e politica super aggressiva, le keyword per cui lui è primo da SEO non chiudono carrelli come il pay per click, come facciamo?
Ho una convinzione: la rete può essere uno strumento di conversione fantastico, e moltissime aziende, anche PMI, possono giovarne. Avremo però un gioco a somma positiva se e solo se i consulenti per primi faranno capire ai clienti che per vendere ci sono delle regole base e che gli utenti spesso non sono sui social per comprare ma per altri motivi, e che la fiducia è un dato fondamentale, e molto altro.. Le aziende devono pazientare, e capire. Concentrarsi sul prodotto e ragionare sul prezzo e sulla distribuzione, non dimenticando supporti di comunicazione off line ancora potentissimi, nella moda ufficio stampa e testimonial, ad esempio, possono ancora fare molto.
Se ci troveremo a metà del guado, probabilmente sarà più facile per tutti uscire gioiosi e indenni da quello che è forse il tema cui il web non ha ancora risposto al meglio. E siamo stupiti, perché di solito lo fa.