Ci sono tante denominazioni diverse quando si parla di sharing economy, dal consumo collaborativo al peer-to-peer renting, ma effettivamente quali sono i driver di questo fenomeno? E perché oggi l’economia della condivisone sta diventando un fenomeno sempre più diffuso nella nostra società?
Diverse sono le forme di condivisone passando dallo sharing in senso stretto al bartering, fino al crowding, che consente la creazione di un bene o di un servizio attraverso risorse creative (crowdsourcing) o finanziarie (crowdfunding).
Diversi però sono anche i campi di applicabilità, giusto per citarne alcuni: il finanziamento (Locloc, Eppela); le abitazioni (Airbnb, DoveDormo, ecc); il cibo (Gnammo, Newgusto, Voulez vous diner); le biciclette (Okobici, bikeMi); le competenze (Oilproject, SkillBros); le automobili (Blablacar) fino ad arrivare alla cultura (Kickstarter, Indiegogo) e al turismo. Per quanto riguarda quest’ultimo settore molte persone sono spinte nell’aiutare, nell’aderire al viaggio altrui per consigliare e condividere il proprio background. Così, attraverso Vayable, chiunque ti porta in giro per la sua città, ti mostra gli itinerari “nascosti” e sconosciuti ai più.
Inizialmente la sharing economy si è sviluppata come risposta alla crisi economica, ma oggi è qualcosa di più. Non c’è infatti solo l’aspetto economico da considerare, ma altri due driver: la società e la tecnologia, i quali sono strettamente connessi tra loro e presentano delle aree di sovrapposizione.
Essa nasce per rispondere in primis a un’esigenza economica in termini di maggiore flessibilità finanziaria, così come l’accesso a un bene/servizio è considerato più importante del possesso; ma risponde anche a un’esigenza sociale: un aumento della densità della popolazione, il bisogno di più risorse, un maggiore desiderio di comunità e anche una variazione nei consumi, da un consumismo sfrenato a una smarter consumption. Collaborazione, partecipazione, autenticità, sostenibilità e condivisione con gli altri: sono questi oggi i concetti chiave.
Nella figura è possibile vedere cosa si è disposti a condividere con altri a livello globale, secondo una ricerca condotta da Nielsen (2013). Ma a che punto siamo in Italia? Sempre secondo Nielsen, il 71% degli italiani è disposto a condividere la propria auto. Interessante notare poi come il 37% degli italiani sia disposto a condividere dispositivi elettronici e il 33% è favorevole nella condivisione di abiti per occasioni ed eventi speciali. Tuttavia la condivisione non si limita solo ai beni fisici, ma anche a beni immateriali come la conoscenza: il 43% degli italiani desidera mettere a disposizione il proprio sapere via internet, impartendo corsi di lingua o lezioni di musica. Terzo driver è la tecnologia. Lo sviluppo dei social network, tecnologie mobile innovative, sistemi di pagamento peer-to-peer, una riduzione nei costi di transazione e una società sempre più dotata di strumenti mobile sono i fenomeni che ormai caratterizzano la nostra società e la tecnologia digitale è un supporto necessario alla sharing economy.
In tutti i servizi collaborativi digitali, le piattaforme tecnologiche, sotto forma di siti internet o app, sono necessarie per rendere utili ed originali questi servizi. Se da un lato viene utilizzata la tecnologia per realizzare delle piattaforme di business dove si promuovono servizi collaborativi, dall’altro lato si sviluppano attività che hanno lo scopo di diffondere, promuovere e mettere in rete progetti con un pubblico più ampio, un esempio è Social Street, che ha avuto origine a Bologna, ma di queste iniziative oggi se ne contano moltissime in tutta Italia. Così l’aspetto social irrompe anche nella vita offline, dando al concetto di possesso una accezione più ampia e trasformandolo in “possesso condiviso”.
Si assiste insomma a un cambiamento di valori; cosa comporta ciò e in che modo le aziende possono trarne vantaggio? Una sharing economy di successo genera un network, una ridefinizione delle relazioni in cui fiducia e reputazione sono comunque elementi essenziali. Tutti traggono beneficio da essa: dalle aziende che possono contare sul passaparola dei consumatori (il 91% degli individui è disposto a raccomandare l’ultimo servizio di sharing economy utilizzato ad un amico o collega – dunque diventano dei “partner di valori”), ottenendo anche ritorni di immagine per l’attivazione di campagne pro-sostenibilità e ri-uso, per innovarsi continuamente; al singolo individuo, in quanto gli consente di avere accesso a un numero di servizi maggiori, flessibili, con risparmio di tempo e sempre più personalizzati e personalizzabili; fino alla società perché consente di orientarsi verso una partecipative welfare era.