Il calcio è un business sui generis in cui sembra che i brand godano di una sorta di fonte inesauribile di “clienti” e che il tifoso non possa che andare allo stadio, acquistare l’abbonamento e sostenere a vita la propria squadra. Una sorta di mercato vincolato in cui il Club è più di un love mark, qualcosa che il tifoso sente come parte della propria identità, che gli appartiene. Pur essendo questo tutto vero, le nostre politiche di marketing non possono basarsi unicamente sul senso di appartenenza quasi indissolubile dei supporter alla propria squadra e sull’idea che tanto il tifoso non ci abbonderà mai. Chi dice che sarà sempre così?
Nel breve termine le evidenti carenze infrastrutturali dei nostri stadi fanno considerare anche una scelta di divertimento diversa e il settore del calcio deve fronteggiare la concorrenza diretta degli altri sport e indiretta di tutte le forme di entertainment tra le quali si può scegliere.
Nel medio-lungo termine lo zoccolo duro del nostro seguito passerà a miglior vita e se non si lavora sulle nuove generazioni gli stadi si svuoteranno in modo ineluttabile.
Infine, perché rinunciare oggi ad attrarre i tifosi scontenti che non seguono più la propria squadra, quelli disinteressati che stanno valutando forme alternative per passare il tempo libero, o addirittura non provare a rubare anche qualche “affezionato” degli altri sport? E le donne, le famiglie, i bambini, le scuole? Che dire anche degli anziani e dei disabili?
Come riuscire quindi a coinvolgere le persone che pensano che il calcio non sia più un’esperienza di tempo libero a valore aggiunto?
E Se è vero che si ritiene che andare allo stadio costi troppo come fare del prezzo uno strumento efficace di marketing anche per le società di calcio?
Esistono dei sistemi alternativi di prezzo nati negli Stati Uniti e applicati con successo nella patria dello sport marketing che sembrano poter funzionare anche per le società di calcio del vecchio continente. E sono Club inglesi di secondo livello che hanno intrapreso la nuova strada, con notevoli benefici e aumento di valore offerto e percepito dai fan.
Ma vediamo più da vicino cosa ha fatto il Derby County, squadra della Football League (corrispondente alla nostra Serie bwin) prima fra le squadre inglesi ad applicare un meccanismo di prezzo dinamico.
Ma Cosa vuol dire dynamic pricing? Significa applicare un prezzo variabile a seconda di un criterio prestabilito: la discriminante può essere il tempo (chi acquista prima ha un prezzo più basso), le quantità acquistate (chi compra di più spende meno unitariamente), le caratteristiche del consumatore (per le compagnie aeree i clienti business o le famiglie). Nel caso del Derby vuol dire immaginare che il prezzo del biglietto vari in tempo reale a seconda del livello della domanda dei tifosi.
Come si fa? Una volta definito il calendario delle partite (lo fa il soggetto organizzatore del campionato-la Lega nella fattispecie) si stabilisce il prezzo per le partite a seconda del tipo di partita. Padova-Vicenza, per un club come il Padova Calcio per esempio, potrebbe essere una partita di cartello con un livello alto di prezzo, mentre una partita infrasettimanale di coppa Italia al pomeriggio magari contro una squadra di Lega Pro (la terza e quarta divisione del calcio professionistico italiano) può rappresentare il prezzo più basso.
Una volta identificato il prezzo mediano della singola partita lo si inserisce in un software che stabilisce il livello iniziale cui cominciare a prezzare la partita. Con il passare del tempo il software monitora quanti biglietti sono stati venduti e suggerisce un nuovo prezzo più basso se la domanda è bassa, o più alto se la partita si sta rivelando un probabile sell out. Questo viene deciso dalle persone che lavorano al ticketing, non dal software, che ha la funzione di elaborare i dati e di proporre aggiustamenti di prezzo. Nel calcolo entrano in gioco anche altri fattori come ad esempio il tempo meteorologico e le caratteristiche emotive insite nella gara ( se è un derby o se ci sono rivalità particolare tra le squadre).
Qui non si tratta solo di riempire posti che altrimenti non andrebbero venduti (già di per se un ottima ragione) ma di offrire qualcosa di nuovo e intelligente agli ex-abbonati, ai tifosi delusi o a coloro che non se la sentono più di sottoscrivere l’abbonamento visto il momento economico. Vuol dire iniziare una nuova conversazione con questi tifosi oppure con quelli incostanti offrendo un maggior valore e un nuovo modo di pagare. Altro punto è la possibilità di raccogliere dati sui fan per capire qual è il prezzo che il singolo supporter è disposto a pagare per andare allo stadio.
E gli abbonati – coloro che teoricamente potrebbe essere avversi a questo tipo di schema perché sembra avvantaggiare i tifosi meno fedeli – non si possono lamentare perché è evidente che il Club premia i tifosi più fedeli attraverso la promessa che il prezzo per la singola partita non sarà mai più basso del prezzo medio a partita per un abbonato.
I primi risultati per il Derby sono ottimi, con notevoli benefici e aumento di valore offerto e percepito dai fan.
Certamente non tutto quello che funziona negli Usa o in UK può essere applicato con successo nel nostro paese. Mi sembra che manchino da noi parecchi ingredienti. La gestione diretta delle biglietteria da parte dei club attraverso il proprio sito per esempio oppure una partnership forte con le agenzia di ticketing online per riuscire a realizzare qualcosa di simile. Per non parlare delle complesse modalità di acquisto dei biglietti in termini a legislazione, Siae e Tessera del Tifoso. Infine la tecnologia, visto che anche in Inghilterra questo software ce l’ha solo il Derby County.
Ma qui mi interessa porre l’attenzione sulle opportunità che si aprono per i club perché il sistema risponde all’esigenza vitale di portare più fan allo stadio consentendo di attrarre anche chi non ha voglia o disponibilità di acquistare l’abbonamento o di premiare chi acquista per primo (come nell’acquisto dei biglietti aerei) e aiuta a capire come fare più felici i fan conoscendo le loro abitudini e offrendo il prezzo giusto.
Non basta solo questo. Un Club deve fare molto di più per promuovere il proprio brand e vendere più biglietti, così come è importante il ruolo delle Leghe e delle Federazioni per cercare di aumentare la presenze negli stadi, per esempio lavorando con le scuole o le università, organizzando incontri tra i giocatori e i tifosi delusi e non, avvicinando la squadra alla comunità.
L’obiettivo è quello di innescare un circolo virtuoso che conduca ad un maggior coinvolgimento del pubblico nelle partite casalinghe e consentire alla gente di vivere più da vicino il club della propria città, alimentando il senso di partecipazione attiva di tutti i cittadini e migliorando anche la sostenibilità delle società di calcio.
Il calcio deve sapersi mettere in competizione con gli altri settori dell’industria del divertimento in un periodo in cui ci sono pochi soldi da spendere. Possiamo abbassare la testa e dare la colpa alla congiuntura economica o rimboccarci le maniche anche attraverso meccanismi come il dynamic pricing per creare maggior valore e giocarci la nostra partita nei confronti del resto del settore del tempo libero.
Nascono anche nuove sfide: Il prezzo dinamico diventa più complesso grazie alla tecnologia e internet, non senza ripercussioni e controversie. Amazon, per esempio, ha subito dure critiche quando nel 2000 applicò ai propri clienti prezzi diversi a seconda dei loro acquisti passati e alla loro capacità di spesa. E’ il tentativo utopico delle aziende di cogliere il prezzo di riserva cioè quanto i clienti sono disposti a pagare prima di rinunciare all’acquisto. Noi non abbiamo questa pretesa ma possiamo fare certamente di più e meglio di quanto fatto finora.
Come al solito attendo commenti, spunti e considerazioni sono benvenuti.