In un momento caratterizzato da un progressivo cambiamento che sta portando l’organizzazione industriale da una prospettiva fordista della produzione del valore ad una prospettiva post-fordista, dove l’economia locale diventa una semplice variante della più complessa economia globale, cambiano allora le “regole del gioco” e lo stesso contesto entro cui le imprese si trovano ad operare.
Quello che allora più conta in tale situazione non è tanto la quantità del venduto, ma la qualità, ossia essere in grado di tradurre in prodotti vendibili sul mercato l’insieme di conoscenze e competenze distintive che ogni impresa possiede.
In un contesto del genere mi chiedo allora se non sia il caso di rivedere le varie strategie aziendali per meglio adattarle alla situazione che si sta prospettando.
In particolare, in questa nuova economia, sembra che l’esternalizzazione delle attività “accessorie” e la concentrazione sul core business dell’azienda rappresenti la strategia che, meglio di qualsiasi altra, sia in grado di rispondere alle esigenze dell’economia globale.
A questo punto però una domanda mi sorge spontanea: la cara e vecchia strategie di integrazione verticale possiamo ritenerla surclassata o può ancora trovare uno spazio degno di nota in questo contesto? E le aziende che attualmente si trovano fortemente integrate sono destinate ad affrontare serie difficoltà o possono ugualmente uscire vincenti da questo periodo di transizione?
Enzo Rullani, in un suo interessante articolo (“Distretti industriali ed economia globale”) dice che “la spinta verso il mercato globale è la stessa che porta verso la de-verticalizzazione dei cicli e la concentrazione delle risorse conoscitive su un core business specializzato”.
Uno infatti dei principali limiti dell’integrazione è legato alla tendenza della stessa di portare verso la cosiddetta “sclerosi aziendale”, impedendo dunque all’impresa la flessibilità di cui necessità in un contesto così complesso come l’attuale.
Tuttavia, se volessimo andare un po’ più in profondità nel discorso, non sarebbe forse il caso di analizzare la questione in modi differenti in base al settore di riferimento che di volta in volta viene preso in considerazione?
Se consideriamo ad esempio il settore turistico, la numerosità dei soggetti che operano lungo la filiera nonché la complessità delle relazioni che li legano, porta l’integrazione verticale ad essere una delle strategie di crescita più utilizzate (in particolare dai tour operator) in quanto consente di avere un maggiore controllo sul prodotto finale. Basti pensare ai due maggiori tour operator nazionali (Alpitour e Ventaglio) per rendersi conto di come siano perfettamente integrati.
Mi chiedo e vi chiedo dunque: possiamo ormai definire l’integrazione verticale una strategia destinata a scomparire o in alcuni casi può rappresentare ancora un valido aiuto per lo sviluppo di un’impresa?
Thomas Longo per marketingarena
Credits per l’immagine: http://www.mocmediterraneo.it/ita/image/k01f.gif