La lectio magistralis di Federico Cappi a Ca’ Foscari, in conclusione del Master in Cultura del cibo e del vino, è stata uno schiaffo non da poco. I tanti partecipanti, ed i masterini (oggi masterizzati) in verità non l’hanno presa bene, ed è chiaro a tutti. Ma la lezione di Federico è stata cristallina e dura, come la verità.
Grom, Amorino, Nespresso, Barilla: è la distribuzione, bellezza. È da qui che bisogna partire per portare l’Italia nei mercati che possono valorizzarne gli asset. Quali sono questi asset? Non solo il prodotto. Federico è stato divertente quando ci ha raccontato che uno chef francese è stato accusato di alto tradimento per aver detto che la cucina italiana è più interessante di quella francese, ma siamo sicuri che quella cacio e pepe sia così interessante per la provenienza degli ingredienti? O è forse nella ricerca, nella narrazione, nella territorialità che risiedono i valori aspirazionali che il consumatore ricerca? In un mondo in cui la Vodka più famosa è svedese e quella più cara è francesce, davvero è sulla difesa della pasta della pizza che vogliamo concentrarci? O è in un nuovo modo di raccontare il cibo che vogliamo mettere il focus?
Il passaggio di Federico Cappi dal prodotto al marketing è fondante: “i prodotti si copiano, i brand no”. Sono il legame genetico che gli italiani hanno col rido ed il piacere del gusto a costruire quel sapere della cultura che è iniettabile in un brand food italiano, e Federico spiega i concetti chiave in un elenco puntato che davvero meriterebbe un libro:
- Il rapporto tra territorialità e narrazione è complesso
- Made In Italy non significa fatto in Italia ma Italia come state of mind, e chi se ne frega se il grano della pasta Barilla venduta in America è americano
- Gli italiani parlano di cibo, le persone parlano di cibo, ci interessa il cibo!
- Se è buono da mangiare è buono da pensare
- Il cibo è un viaggio di gusto che trasporta in luoghi fantastici
- I prodotti permettono alle persone di provare emozioni
- Il branding nel food è riconoscibilità, autorevolezza, unicità e irriproducibilità
E poi ancora un passaggio duro quando Federico ci ricorda che il food (si pensi a Masterchef e Bakeoff) non è un trend italiano, è globale. Gli step sono 3, non 1!
- Produrre
- Distribuire
- Raccontare
Noi italiani sui punti 2 e 3 siamo debolisssimi, davvero. Noi il cibo lo pensiamo, ma non siamo in grado di progettarne i meccanismi scalabili, non siamo in grado di comunicarlo. Facciamo marketing con una P sola, e di questi tempi nessuno può pemetterselo più.
Quello che io porto a casa sono due concetti fondamentali: la nostra competenza, qualità e gusto è ormai chiara, assodata, definita. E ora? Sono le competenze di distribuzione e narrazione ed una visione industriale di lungo periodo e globale mercato che ci permetteranno di eccellere davvero. Ed è chiaro e palese che la relazione con il turismo è a doppio filo, perché la cacio e pepe avrà un “italian state of mind” da Eataly a New York ed una “cattedrale” nella trattoria di Roma. Ed è tempo di segmentare, come quando si compra una borsa di Gucci a 1000 euro e si è felici, e poi quando si è un po’ più ricchi si compra quella da 5000 della rarissima serie prodotta ancora a Firenze da maestri.
È tempo di smettere di pensare che un maestro valga più di un artigiano e un artigiano più di un industriale. In un tempo in cui il cambiamento climatico ci affonda e dobbiamo dare da mangiare a miliardi di persone, presto in doppia cifra. Dobbiamo scrollarsi di dosso la polvere dello snobismo di casa nostra e pensare in grande, raccontare forte e distribuire bene.
C’è un punto che per me è stato illuminante al di fuori del food. C’era un concetto quasi politico che non mi tornava, e Federico Cappi me lo ha chiarito alla grande. Ho sempre pensato all’Italia con due alternative: la prima è la versione Disneyland in cui si vive di turismo e cibo, e l’ILVA o la FIAT le lasciamo altrove. La seconda è invece legata ad un recupero del potere industriale in cui giocare una partita di produzione, magari a suon di nucleare e fabbriche. E non avevo una posizione chiara, ma ero certo che né l’economia delle esperienze di Pine e Gilmore né la scienza della scalabilità degli strateghi, con questo paese strano ci avessero preso. Sapete cosa penso? Che la visione dell’Italia come piattaforma di eccellenza di marketing e distribuzione di una serie di prodotti solidi, che sono in realtà brand e concetti (state of mind) solidi, possa davvero funzionare.
Perché come ha detto Federico Cappi, il buon cibo è alla base della genuina felicità.