La scorsa settimana ho avuto la fortuna di visitare la mostra di Open Design Italia, Tenutasi a Trento. I momenti di pensiero attorno al fortissimo contributo di Stefano Micelli sul tema (qui il sunto di una chiacchierata condivisa) e successivamente di Marco Bettiol (più orientato alla comunicazione quasi a definire “le nuove 4P dell’artigiano), portano a riflettere su come l’economia artigiana possa essere messa a sistema, e se tutto sommato questo sia affare necessario.
Il punto per me è molto chiaro: l’esposizione è stata una grande raccolta di progetti unici e interessantissimi. L’economista però sbianca di fronte alla puntiformità di tali idee: piccolissime produzioni, centralità del ruolo dell’artigiano e massa critica sostanzialmente inesistente, con un pricing che spesso porta a parlare di nuova arte più che di prodotto, e di questo dobbiamo sicuramente ringraziare Dio. Grande enfasi e focus sul prodotto, sulla qualità dello stesso, sull’originalità e sul pensiero. Finalmente i nuovi maker ed artigiani si concentrano su comunicazione, packaging e digitalizzazione della loro presenza, si palesano come imprenditori completi e quadrati in grado di stare sul mercato, in autonomia, pronti ad aprire uno store su Etsy e a vendere cose bellissime (date un’occhiata meritano) in contesti multicanale. Tutto bene, resta però il fatto che questo underground emerge ancora alle mostre-mercato, in nuovi contesti distributivi da bottega, fiera rionale o, in totale contrasto, nei coworking più evoluti e alla moda. È come se avessimo davanti il futuro, ma dietro la sensazione che 9 su 10 non ce la faranno, che il marmista il cui “saper fare” è l’unico punto di forza (e ti pare poco) e non ne vuole sapere di far sapere, non ce la farà. E vi è un secondo dubbio che si palesa: può davvero un sistema come questo trasformarsi in economia in un mondo che ci dice che “piccolo è bello” ma minuscolo è insostenibile?
Credo personalmente che queste nuove avanguardie stiano tracciando la rotta per portare finalmente energia, fantasia e brio ad un mercato stanco, ed il valore principale che portano non è la creatività nel prodotto, ma è la capacità di creare prodotti relazionali che vanno oltre il contesto di fruizione (un po come se le esperienze di Pine e Gilmore non fossero più mediate dal contesto del caffè in piazza San Marco o dal valore di un prodotto d’oro da ostentare, ma il valore si trova in realtà nella storia che il prodotto porta con se). La prossima sfida di questi mondi è probabilmente quella di gestire il bivio delle avanguardie a tracciare la rotta (i nuovi artigiani) ma al tempo stesso prendere per mano chi questo cambiamento non riesce a viverlo dall’interno e ricondurlo a nuovi contesti, magari anche con l’aiuto della distribuzione della quale diffidiamo tanto, H&M, Zara, Leroy Merlin e Ikea potranno diventare i nuovi paradossali alleati di questi eroi italiani?
Fare di molti buoni casi, un vero sistema economico è un tema vero, ma è soprattutto un tema che non possiamo ignorare. Il dibattito è aperto.
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