Questo è un post sperimentale, e come tale va preso. Mi piacerebbe condividere con chi legge una serie di convinzioni, dubbi, domande, pensieri che si ripetono in me quando mi occupo di marketing. Contravvenendo qualsiasi definizione di marketing da libro, vi offro la mia:
“Scienza che si occupa di creare e gestire relazioni con l’obiettivo di garantire benefici di vario tipo ad un committente”
Le chiavi della mia definizione fanno capire quanto olistica essa sia:
– Relazioni non transazioni: parliamo quindi di una categoria più ampia di rapporti tra due soggetti, non meramente legati alla transazione e al profitto
– benefici non profitti: anche generare un’atmosfera positiva attorno ad un brand è marketing, eppure non porta direttamente profitti
– committente non azienda: mi sembra che greenpeace o amnesty international utilizzino strumenti di comunicazione (a mio avviso sottoinsieme del marketing) pur non essendo aziende in senso proprio.
Fatta questa premessa, una domanda: serviamo a qualcosa? Mi rendo conto che il tema è delicato e filosofico-etico piuttosto che di marketing ma è bello ragionarci assieme. Il dottore che cura le persone è decisamente utile, l’astrofisico che calcola come deviare l’asteroide che nel 2036 vuole piombarci in testa è utile, il markettaro che dopo un anno di studi e bozzetti decide che il marchio fiat deve diventare rosso è utile?
Messa cosi decisamente no, ma la questione è più ampia. Va detto che ci è concesso ingerire su una minima parte della storia e che dobbiamo prendere atto del passato adattandoci alle regole del gioco col realismo di chi sa che gli stravolgimenti sono difficili a compiersi.
Io credo che, preso atto della situazione, il marketing sia una scienza sopravvalutata quanto a risorse destinate (non è concepibile che le aziende farmaceutiche spendano più in marketing che in ricerca) ma credo al tempo stesso in una forma più bella, creativa, etica, di strumenti in grado di fungere da corollario alla vita delle persone con risultati altrimenti non raggiungibili. Penso all’economia delle esperienze, alla combinazione di design e arte che oggi avvolge i prodotti. Molti dei momenti della nostra vita sono pervasi di marketing, più che la benzina (con o senza raccolta punti la nostra auto andrebbe avanti ugualmente), altre sono le occasioni di consumo che a mio avviso hanno un senso diverso se rivisitate e riprogettate in chiave marketing.
La nostra epoca è caratterizzata dal fatto di volere sempre di più e non accontentarsi mai, ma gli sfarzi anni 90’ sono oggi contrastati da avanguardie che portano anche nel nostro mondo concetti come ecologia, marketing sociale e conoscenza distribuita. Anche alla luce di questo fatto sembra che il nuovo marketing possa fare molto per garantire ambienti e momenti unici e non replicabili. Dai locali notturni ai parchi a tema, passando però per i collezionisti di magliette da rugby di serie b neozelandese (oggi tranquillamente classificabili come segmento grazie alla rete che riduce i costi di transazione, long tail insegna), prodotti e servizi usano il marketing più per creare, offrire, differenziarsi che per competere sulla vendita, sempre più momento di riconoscimento della fiducia accordata che mera vendita.
Dal turismo alla tecnologia, dalla scienza all’arte, piaccia o meno siamo dappertutto, e viene da chiedersi perché e se non siamo un po’ in troppi posti o se valiamo per quanto facciamo. Mi sembra lodevole il tentativo di alcuni di passare ad una fase due del marketing, adattandolo alle pmi piuttosto che coinvolgendolo nel design, questi concetti molto operativi che danno vantaggi visibili sono di buon auspicio per un marketing più bello.
Io credo, concludendo, che tutto questo abbia un senso, che il medico abbia si più meriti di noi ma che forse, anche i markettari servono a qualcosa. Al tempo stesso l’invito a ripensare il nostro ruolo in termini di mansioni ed impatto economico è di certo da sottoscrivere ma se il medico può rilassarsi in un locale sempre diverso ogni sera forse, è anche un po’ merito nostro.
Giorgio Soffiato