HomeBlogStrategie di MarketingI 7 peccati capitali dei social media

I 7 peccati capitali dei social media

Esce su fast company un bell’articolo di Scott Stratten, parte del suo libro UnMarketing, il cui titolo è “i 7 peccati capitali dei social media”, vediamolo assieme.

Stratten sostiene che i vari media sociali sono ogni giorno teatro degli stessi errori, equiparabili per giusta metafora ai peccati capitali, commessi dagli utenti e ancor peggio dai web marketers. Via!

Avidità

Questo concetto è molto simile all’autoreferenzialità, su Twitter ad esempio (per quanto per natura definito un “self-centered tool) è molto meglio lavorare con atteggiamento “relazionale” piuttosto che “auto-glorificante”. Questo significa, in soldoni, che non è solo il retweet di post che ci coinvolgono a fare la differenza o l’utilizzo di twitter come RSS feed seeder per invadere i nostri followers a pagare, è invece lo sviluppo di relazioni a fare la differenza nel lungo periodo.

Su Facebook questo fenomeno si osserva nell’invito da parte di invasivi amici a tutti gli eventi possibili, o peggio quando si viene taggati “senza senso” in post promozionali con la sola speranza di un rilancio in più. Anche il commento con il solo obiettivo di postare dei link fa parte di questa perfida realtà.

Anche Linkedin è pesantemente affetto dalla malattia, i gruppi vengono spesso utilizzati come vere e proprie fabbriche di spam, per quanto il loro potenziale sia enorme, io ad esempio li apprezzo molto ma mi trovo a dover selezionare accuratamente le fonti, e non è sempre facile. Stratten definisce “drive by articles” quegli articoli riproposti in molti gruppi e siti con il solo obiettivo di aumentare il traffico.

Ingordigia

In questa parte, per quanto riguarda Twitter, sono i sistemi di boost automatico dei followers a preoccupare l’autore, sistemi che ovviamente portano raramente risultati e, quando questi arrivano, sono assolutamente di bassa qualità.

Su Facebook la cosa coinvolge soprattutto gli inviti “sparati” più o meno a caso, interessante l’invito dell’autore a porre attenzione a quello che si fa, in particolare se invitiamo tutti i nostri amici ad un “seminario sul dimagrimento” potrebbe essere che il nostro amico grasso non gradisca, prendendo come “offesa personale” tale invito. Badiamo bene, quindi, a ciò che facciamo e ai pulsanti che premiamo.

Pigrizia

Immaginiamo una conversazione “faccia a faccia” in cui il nostro interlocutore risponde dopo un’ora. Una cosa del tipo “ciao come stai?” …e dopo 60 minuti.. “bene grazie”. Lo stesso succede su Twitter quando un utente impiega una settimana per rispondere a una nostra citazione. Anche se non tutti sono “Tweetaholic” (incluso chi scrive), il consiglio è quello di “buttare un occhio” con una certa periodicità allo strumento, e se abbiamo poco tempo è meglio dedicare qualche minuto ogni giorno piuttosto che un’ora concentrata nello stesso giorno della settimana per poi dimenticare il mezzo per i rimanenti 6 giorni.

Su Facebook e Linkedin si manifesta la sottile differenza tra essere presenti e avere una presenza. Il concetto di reazione e reattività rende la nostra sterile e pigra presenza una vera e propria attività, se quindi siamo pronti a rispondere e attivi nelle discussioni il nostro sforzo sarà di certo premiato.

Invidia

Dovremmo seguire le persone su Twitter basandoci sugli interessi e non sulla reciproca cortesia. Citando l’invidia Stratten si lancia in un discorso che coinvolge le numerose richieste di cambiare il nostro Twitter avatar in occasione di promozione di buone cause, dice l’autore “my lack of participation in your cause does not infer lack of support, just like changing my avatar does not make me a better person by default”.

Lo stesso accade per quanto riguarda le buone cause su Facebook, occhio quindi all’equilibrio tra dedizione e insistenza.

Su Linkedin il punto forte sta nella raccomandazione o endorsement, come sappiamo è possibile richiedere raccomandazioni a chiunque nella propria lista dei contatti, spesso riceviamo richieste del tipo “se tu raccomandi me io raccomanderò te”, di certo accettabili per costruire una reputazione, ma vera carta straccia nella realtà digitale dei fatti.

Ira

Servono centinaia di Tweet per farsi una reputazione e ne basta uno per distruggerla. Forse Twitter è il più intimo tra i social network e sbagliare nelle discussioni “tra pochi” che spesso si generano può risultare fatale. Essere oggetto dell’ira di qualcuno è normale, Stratten dedica un capitolo del libro a “come trattare coi Trolls” ma ci mette anche in guardia: “siete meglio di loro, non badateli”.

Lussuria

Riporto testualmente “Social media sites are filled with humans. And when you throw a bunch of humans into an environment, a few things are sure to be present: 20% of people will have bad breath, 30% will wonder how their hair looks, 60% like peanut butter and chese sandwiches but are scared to say something and 100% will have hormones. It happens”.

In questa parte l’autore ricorda “semplicemente” che in ogni atto che compiamo “i repeat you are always marketing your business – every comment, every post, is an extension of your brand.

Superbia

Per concludere, la superbia. L’ossessione di essere i primi e di gridare al mondo (social) le cose più degli altri e più forte degli altri..

Che dire? Un post lungo, complesso e forse un pò “stretchato” dall’autore che comunque ne rende il senso. Più i social media ampliano la propria base più è difficile difendere la propria reputazione. Ogni giorno costruiamo la nostra presenza (personal branding) e la minaccia è dietro l’angolo, in un attimo possiamo auto-distruggerci. Il nostro esistere digitale corre su Facebook, Linkedin e Twitter e dobbiamo essere attenti a come lo gestiamo, considerando le relazioni e gli altri come il vero volano del nostro agire digitale. Forse con queste poche attenzioni, e senza i vizi capitali, potremmo fare dei social media un posto migliore. E forse “sottovoce” è una parola che un pò tutti stiamo dimenticando.. O No?

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

Vuoi scrivere per noi?

Contattaci per proporre un articolo o segnalarci un contenuto interessante.