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Il Growth Marketing non esiste, lunga vita al growth marketing

È l’espressione del momento tra i markettari di tutta Italia, ma Oltre Manica è uno di quei temi di cui ormai parlano proprio tutti. E per la serie “Appunti di Marketing da Londra”, non potevo non parlare di Growth Hacking (o Growth Marketing), per tentare di capire se effettivamente la “figura professionale del Growth Marketer” esista veramente o appartenga solamente al mondo fatato degli unicorni.

 

Che cosa si intende con la parola Growth Hacking?

Secondo chi questa parola l’ha inventata, Sean Ellis (che l’ha usata per la prima volta nel 2010 per definire la serie di tasks di cui si era occupato fino a quel momento: crescita e sviluppo delle aziende online), un growth hacker è un marketer focalizzato alla crescita: tutte le strategie e le azioni che intraprende hanno lo scopo di avere un segno ‘+ davanti ad una percentuale che misura una KPI’. Quindi, in pratica parliamo di un marketer focalizzato sulle azioni e sulle analisi, esperto di canali, tool e strategie, in grado di pensare in modo creativo, per raggiungere obiettivi di crescita e di vendita.

Parlando di differenze, quella principale riguarda i prodotti, poiché il Growth Marketing nella maggior parte dei casi non si occupa di prodotti fisici, ma molto spesso di prodotti online, ossia software e prodotti digitali. Quindi, la differenza esiste ed implica un modo totalmente nuovo di pensare le strategie di marketing, proprio per questo motivo nasce il Growth Hacker.

Torniamo per un attimo a Sean Ellis: vi ricordate quando nel 2012 per ogni amico che si iscriveva a Dropbox il vostro spazio online aumentava di 500MB? Sean Ellis è stato l’uomo che ha sviluppato questa strategia di marketing referral, diventata un caso che oggi si studia nei libri di marketing. Solo qualcuno prima di lui si era inventato qualcosa di simile (Hotmail). Ed ecco la seconda differenza fondamentale con un marketer: le strategie di referral marketing, ossia quelle che insistono nell’utilizzo del prodotto online, sono il pane quotidiano dei Growth Hackers.

 

Ci sono i tool, e ci sono i “tool per le startup”

Una delle domande che spesso mi viene fatta, dal momento che ho lavorato sia con PlayStation che con molte startup, è: ma ci sono tool specifici per startup? No, diciamo che fino a poco tempo fa, c’erano moltissimi tool che si potevano usare gratuitamente online, leggermente più laboriosi rispetto a quelli a pagamento, che tuttavia permettevano di avere un’idea precisa dei numeri e si potevano tranquillamente utilizzare al posto dei più costosi come Socialbakers o Mixpanel. Oggi, purtroppo, quei tools non sono più disponibili (perché acquisiti da aziende più grandi) oppure hanno visto limitate le proprie funzionalità free. Quindi, le startup, si trovano a dover pagare per accedere a tool specifici ed indispensabili per l’analisi della propria attività online.

Sotto un altro punto di vista, esistono dei tool specifici per startup, non perché siano “specifici per startup” ma solo perché sono appena arrivati sul mercato e quindi hanno funzionalità in beta gratuita, per un periodo di tempo limitato.

Sono tool che la maggior parte delle corporate non utilizza poiché per un’azienda di mille persone cambiare un tool significa dover passare per processi di digital transformation molto lunghi e costosi, ed in genere si preferisce semplicemente continuare con quelli esistenti, tentando di renderli più innovativi. Sono tool che le PMI potrebbero tranquillamente utilizzare ma che non utilizzano poiché non avendo un business online, non sono focalizzate a determinate analisi come il customer funnel oppure l’ottimizzazione delle conversioni dalla landing page (CRO).

 

Esiste un futuro per il Growth Hacker?

C’è un importante trend nelle ricerche di Google per la parola Growth Hacking, iniziato alla fine del 2012 (ed un sacco di persone su Linkedin che si definiscono Growth Hackers che invece prima erano semplicemente marketers). A voi le conclusioni!

La verità è che moltissime strategie di Growth Hacking hanno ormai perso la loro efficacia perché sono diventate mainstream, come ad esempio il fatto di postare il lancio del proprio prodotto su Product Hunt o avere un articolo su Techcrunch. Ci sono così tanti prodotti postati giornalmente, che diventa molto difficile spiccare in mezzo alla massa.

Nella maggior parte dei casi, quando si parla di Growth Hacking si tratta semplicemente di buon senso: tutti ad esempio sappiamo che una maggiore personalizzazione e la “freschezza” dei contenuti di una campagna di email marketing porta, nella maggior parte dei casi, ad un maggior open rate e CTR, vero? Se poi il prodotto vi piace e siete stati trattati bene, quante maggiori chance ci sono che ne parliate con i vostri amici, online & offline? Quindi, non serve essere un Growth Hacker o conoscere gli ultimi tool per sviluppare strategie vincenti.

Credo che il Growth Hacking sia più un modo di pensare che una serie di tools o hack, e non penso morirà a breve. Sono anche sicura che troverete sempre nuovi hack da provare ma ricordate che non ci sono solo i tool: le idee e l’execution rappresentano una fetta importante per la crescita a doppia cifra in tempo zero 😉

 
 
AUTORE

Alessia Camera

Creative strategist a Londra da tre anni, dove si occupa di online marketing, community management e digital advertisement. Appassionata di tecnologia e startup, si tiene impegnata tra hackathon, conferenze e meetup. Quando rimane del tempo libero, continua la ricerca della pentola piena di monete d'oro alla fine dell'arcobaleno.
 
 

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