Immaginiamo per un attimo di essere seduti al tavolo di una pizzeria, e ricevere un menu di 100 pizze! Che differenza ci sarebbe rispetto a riceverne uno contenente 20 pizze?
Ebbene, parto da questa domanda apparentemente banale per rispolverare un argomento forse in controtendenza con l’era della long tail, e cioè la curva di Pareto. Essenzialmente esiste una piccola parte (in termini di numero) di elementi cui si può far risalire la maggior parte di influenza in termini di effetto.
Facendo riferimento alla frase iniziali, molto probabilmente esiste un piccolo numero di pizze del menu che viene acquistato (mangiato!) da molti clienti…
Spostando leggermente il focus su settori più significativi, non è un mistero che le SKU (stock keeping unit, cioè referenze) presenti in negozio tendono ad aumentare ma, il tempo di visita medio in negozio diminuisce.
Secondo una recente ricerca di Confimprese (http://www.confimprese.it/pdf/pubblicazioni/marca-retailing-moda.pdf), la curva di Pareto vale per la maggior parte delle aziende di abbigliamento e calzature. In questi scenari il 10% dell’offerta genera il 50% delle vendite, mentre il 20% di codici è pressoché invenduto. Questa è una situazione abbastanza tipica. Qual è allora la struttura dell’assortimento che determina la massimizzazione delle vendite? L’offerta tradizionale, wholesale, è caratterizzata da tre principi: un’offerta ampia, ritenuta in grado di ridurre il rischio, ma in realtà dispersiva e con un gran numero di approcci e varianti modello/colore; una profondità indifferenziata, ossia tutti i codici vengono acquistati e allocati con la stessa profondità; una bassa rotazione, con il prodotto che rimane statico nel punto vendita per quasi tutta la stagione. La prima criticità sta quindi nella fase di programmazione commerciale. Quando si passa alle vendite cosa succede? I pochi prodotti best seller si esauriscono rapidamente, mentre tutto il resto della stagione viene gestito con i tanti prodotti slow seller, che generano alte rimanenze e scarsa attrattività del punto vendita nel suo complesso.
Anche in altri settori, tuttavia, la questione risulta aperta, come nell’elettronica di consumo (es. tel cellulari). Ma se il numero di referenze rimane molto elevato, studi di psicologia cognitiva hanno dimostrato che la “confusione nella scelta d’acquisto” avviene in seguito al sovraccarico informativo derivante dall’interpretazione degli attributi delle singole referenze, e non tanto dal numero totale.
In pratica, sempre in riferimento alle pizze, non tanto le 100 pizze nel menu, ma la diversa interpretazione degli attributi delle singole pizze a trarre in inganno al momento della scelta!
A questo punto, mi sopraggiungono alcune domande
– Quanto conta il punto vendita e la preparazione del personale per aiutare i consumatori?
– Quanto conta l’influenza di persone a noi vicine nella scelta?
– Quanto conta la comunicazione dell’azienda e la scelta di spingere una referenza (o un gruppo) rispetto ad un’altra in base alle indicazioni delle analisi di vendita?
– Quanto conta la presenza di un “facilitatore” nella categorizzazione degli attributi quale può essere internet?