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Ancora sul fare impresa

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In molti, dopo la laurea, abbiamo pensato che il processo di integrazione nel mondo del lavoro sarebbe stato fluido, lineare, indolore. Carichi di aspettative abbiamo lasciato i banchi dell’università con un buon voto in tasca e dei progetti nel cassetto decisi a far luccicare la vernice delle scarpe ed acquistare cravatte importanti in breve tempo. Non è andata proprio cosi..

L’esperienza di parecchi amici e conoscenti oltre a quella personale mi porta ad aggiornare il ragionamento sul post laurea. Premetto che odio i patetici e chi lamenta assenza di lavoro quando in realtà un laureato, in linea di massima, sopravvive. Il bello viene quando si cominciano a complicare le variabili, ragioniamo su 3 dicotomie che affligono il neolaureato markettaro medio (non conto il dottorato perchè nicchia affascinante ma probabilmente figlia di dinamiche diverse –> accetto di guadagnare poco ma legittimazione e prestigio possono bastare, il tutto unito ad una grande passione, ho comunque un’amica che prende 1.200 al mese per un dottorato in biologia..)

Milano o provincia?

Il fascino di Milano, per quanto mi riguarda, svanisce al minuto uno della discesa dal treno. Mi sento spesso dire che “è un’esperienza che va fatta” ma sovente rispondo che gli anni più bella della mia vita non posso investirli al ritmo di treno delle 18 la domenica sera e treno delle 19 il venerdi successivo per tornare a casa contando 150 euro al mese di eurostar (forse sottostimati), 300/400 di affitto e altrettanti per vivere a fronte di 800 / 1000 / 1200 euro al mese. Il mio non è un ragionamento univoco, molti vedono Milano come un punto di arrivo e non come un flipper dal quale scappare appena si può, di certo il week end milanese non è male e la voglia di tornare a casa può essere giustificata da fattori esterni non legati al lavoro (fidanzata, sport, week end al mare). Io non dico che non sia un’esperienza che va fatta ma se l’obiettivo di medio termine è il ritorno in patria con un bagaglio importante forse è meglio partire per Londra e farla completa. Ritengo anche che lo stipendio non possa comprare un week end ma è innegabile e sarebbe ipocrita sostenere il contrario che con 2500 euro al mese forse quel treno lo si prende volentieri (come succede a Parigi). Il mio dubbio è proprio questo: dopo 4 anni di fatica si arriva a queste cifre? E soprattutto un imprenditore non rischia di arrivarci in sei mesi? (rischiando anche di chiudere in tre..)

Grande azienda o PMI?

Anche se di certo c’è un’intersezione con il ragionamento su Milano credo che il focus qui vada spostato sugli obiettivi professionali. Sicuramente nelle PMI le possibilità di crescita professionale sono maggiori e si registra una certa difficoltà di reperire personale per quelle PMI piuttosto grandi che scontano la minore attrattività rispetto alle major o alle milanesi e offrono quindi benefit o buoni stipendi. Non è vero che nelle PMI si lavora meno ma di certo si è emotivamente più coninvolti perchè la nostra opinione è una di poche e quindi potenzialmente rilevante. Il dubbio in questo caso è legato al futuro della piccola impresa, componente principale del tessuto industriale italiano che a volte però lancia segnali di incertezza sul proprio (e quindi sul nostro) futuro o peggio lascia l’amaro in bocca, una sensazione di incompiutezza personale. Un libro che ho letto di recente (giocati dal caso) porta l’esempio di una moglie scontenta perchè il proprio marito guadagna meno rispetto agli abitanti del quartiere lussoso in cui risiede, la realtà è che il marito guadagna di più del 99,6% degli americani ma in quel particolare contesto il paragone genera infelicità, è possibile quindi che il confronto (sono direttore marketing di una pmi ma LUI è direttore marketing della barilla) generi un’insoddisfazione latente. (P.s. il libro ovviamente suggerisce alla signora di cambiare quartiere)

Lavoro dipendente o progetto proprietario?

Questa è una scelta che in realtà è molto meno popolare del dottorato ma che intendo discutere perchè sempre più interessante. Ieri un amico mi ha detto che smette di fare il camionista per aprire un piccolo negozio di alimentari in provincia, dopo aver deglutito alla luce di quanto insegnato dal mio manuale di “economia e gestione delle imprese commerciali” che sostiene la morte certa di questi piccoli esercenti, sono stato davvero felice per la sua scelta coraggiosa. In Italia per poter pensare nel post laurea ad un’iniziativa imprenditoriale propria servono
– una cultura aziendale in famiglia (basta un piccolo negozio), in alternativa “due palle cosi”
– nessuna paura del fallimento
– una dose di follia

Abbiamo visto imprenditori fare i soldi con pochi euro ed altri (americani) farne partendo dal capitale altrui magari dopo aver chiuso (a 22 anni) già due aziende che erano andate male. Anche in Italia si sta sviluppando anche se molto lentamente il mercato del venture capital e questo probabilmente sbloccherà alcune cose, il mio ragionamento è però molto più terreno. Ho sperimentato con soddisfazione un modello misto di collaborazione stabile con alcune aziende e occassionale con altre (clienti) che al momento decretano la sostenibilità del modello che mi permetto di esporre perchè testato anche da altre persone a me vicine e soprattutto sempre più diffuso tra chi ha fatto 4 o 5 anni in azienda e poi decide che è il momento di fare per conto proprio. Anche qui i dubbi non mancano, dal rischio di fossizzarsi e non crescere mai in termini di volumi (soprattutto in quel mercato molto nebuloso che è oggi la consulenza) a quello di aver perso l’occasione della grande azienda (cui con la tua laurea avresti potuto accedere cosa che non capita a molti ma hai rifiutato), credo però che prima o poi il grande passo vada fatto, più per sentirsi imprenditori di sé stessi e padroni del proprio destino che per guadagnare il doppio rispetto ad altri, cosa assolutamente non scontata. Le aziende più virtuose (da 3M a google per citare quelle che favoriscono innovazione e creatività) stanno investendo su modelli di imprenditorialità nel lavoro dipendente che forse è un modo nuovo per pensare l’impresa anche se non vorrei si trattasse di un costume indossato dal modello organizzativo gerarchico che ben conosciamo (la discussione sulla gestione delle risorse umane in google vs microsoft vale un post, non cosi scontato).

Chiudo dicendo che l’unica certezza post laurea è l’incertezza, direi però che sono curioso di sentire la vostra esperienza per completare il puzzle

Per l’immagine Cartoonstock.com

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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