La scelta di essere presenti sui social networks talvolta può costituire un rischio oltre che un’opportunità. Lo sanno bene alcune imprese che a causa di alcune scelte pubblicitarie sbagliate hanno avuto a che fare con la “critical mass” dell’era 2.0.
In una simpatica presentazione su slide share viene spiegato come comportarsi quando la propria campagna pubblicitaria sui social risulta fallimentare o addirittura controproducente per il brand che la promuove.
Summer’s Eve, prodotto per l’igiene intima, l’anno scorso ha dato il via ad una campagna pubblicitaria che ha attirato l’attenzione di moltissimi utenti: in un articolo, pubblicato su Women’s day, si spiegava alle donne come riuscire a chiedere un aumento al proprio principale e il primo consiglio che veniva dato era quello di provvedere alla propria igiene intima grazie ai prodotti Summer’s Eve.
Ovviamente sul web è impazzita la reazione dei consumatori che hanno ironizzato sull’associazione tra ottenere una promozione e avere una buona igiene intima. Il disastroso annuncio è stato rimosso con calorose scuse da parte della brand manager del prodotto in questione.
Prima lezione da imparare sul social advertising: Campagne pubblicitarie disastrose sui media tradizionali, oggi trovano uno spazio di diffusione anche online.
Altro caso davvero “eccezionale” è quello di una coppia di innamorati alla Romeo & Giulietta: lei 47 anni, lui 23 anni e le famiglie dei due che ostacolano la loro unione a causa della differenza d’età.
I due innamorati decidono di cercare appoggio online e ottengono 3.500 like su Facebook. Ai loro fan promettono di trasmettere in diretta il loro matrimonio, ma… quando lo sposo sta per entrare in chiesa si accorge di aver dimenticato l’anello nuziale a casa e a questo punto della diretta lo streaming si interrompe e compare una schermata nera in cui si avvertono gli spettatori che anche nei momenti più belli occorre tutelarsi dagli imprevisti. Dietro questa love story travagliata c’è una compagnia di assicurazioni che sicuramente non ha suscitato le simpatie di tutti quei followers che avevano sostenuto la presunta storia d’amore.
Seconda lezione sul social advertising: Mai oltrepassare il limite tra realtà e finzione. Sfruttare i sentimenti degli utenti per fini commerciali non porta quasi mai al successo.
Ovviamente nella presentazione compaiono altri casi di disastri pubblicitari, ma per non scadere nella futile polemica contro errori che tutti possiamo commettere, la cosa più importante rimangono alcune linee guida di cui si deve tener conto qualora si voglia promuovere il proprio brand sui social networks:
1. La comunicazione pubblicitaria deve essere trasparente e questo principio vale soprattutto per l’advertising online: non è possibile trattare gli utenti come soggetti virtuali privi di una capacità di interpretazione. L’utente giudica e soprattutto può commentare “pubblicamente”.
2. Controllare la comunicazione del proprio brand sui social permette di evitare che vengano pubblicati contenuti “sbagliati”. Come nel caso della Croce Rossa americana che tramite l’intrusione di un hacker ha pubblicato un tweet in cui diceva di raccogliere fondi per permettere di comprare birra e si è dovuta affrettare a spiegare l’accaduto, quando ormai il tweet aveva già fatto il giro del mondo tra l’ilarità generale.
3. E’ possibile migliorare la propria reputazione, imparando dai propri errori. Dimostrando agli utenti la volontà di rimettersi in gioco, si può riconquistare col tempo la fiducia perduta.
4. Promuovere campagne di advertising online che non raggiungono l’audience prestabilita non sempre significa andare incontro ad un fallimento: la qualità dei like o dei tweet costituisce un parametro determinate al pari della loro quantità.
In conclusione tutti possiamo sbagliare, l’importante è imparare dai propri errori e capire che i social networks permettono un confronto e una discussione tra aziende e costumers che diviene ancora più importante nel momento in cui si crea una discrepanza tra ciò che si vuole comunicare e come il messaggio venga interpretato.
D’altra parte lo diceva anche Gandhi: “Non vale la pena avere la libertà se questo non implica la libertà di sbagliare”…