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E se la fine dei Social Media fosse un mal di testa dei boomer?

È molto difficile scrivere di content marketing di questi tempi. Si corrono due rischi: il primo è quello di usare come sinonimi terminologie che in questa partita sono rilevanti (social media, social network, content marketing), il secondo è quello di farsi prendere dalla tattica, guidati dall’articolo in stile “la SEO è morta” di turno, nello specifico: “The age of Social Media is ending”. Di come Facebook e Instagram non se la passino così bene è già stato scritto veramente tanto, ma è a mio avviso tempo di fare chiarezza su alcuni punti.  

In primo luogo quando si addita al passaggio “from cool to cringe” dell’ecosistema Meta, ci si riferisce alla Ferrari che se la passa malissimo nel mondiale, ma non per questo la Formula 1 deve chiudere. Siamo indubbiamente di fronte ad una frammentazione del mondo del Social Networking dove forse, semplicemente, the best is yet to come. La difficoltà in tempi come questi è quella di vedere le piattaforme per quello che sono, dei winner-takes-all di un tempo che oggi vedono l’ecosistema maturare, e quindi vedono emergere nuovi attori nello stesso. Perché l’ingresso di Disney+ in un mercato dominato da Netflix fa meno rumore dell’ingresso di Tik Tok in quello dominato da Facebook? È l’attenzione, bellezza. 

In secondo luogo, va sottolineato un boomer bias. Non mi sembra che i prati siano pieni di ragazzini che giocano a pallone, cosa fanno quindi queste persone? Come riportato dal report di Whalar “Reaching The Unreachables”, siamo di fronte (e parlo della Gen Z) ad un pubblico annoiato dalle Ads, che non guarda la tv se supportata da annunci pubblicitari. Che fa questa gente? Anziché leggere solo i report, bisogna parlare con le persone. Guarda streamer su YouTube che giocano a Roblox o scorre stancamente Tik Tok. La storia dell’Instagrammer che passa su Substack e migra metà dei follower, mi convince fino a un certo punto. Pensare di disfarsi della sciagura dell’addiction scherzando il metaverso di Mark Zuckerberg è buttare il bambino con l’acqua sporca, è non aver capito l’ecosistema.

L’addiction è viva e vegeta, solo che succede altrove.


Da ultimo, il mondo delle opportunità. Le app di AI (Lensa e Chat GPT) hanno dimostrato che le persone hanno voglia di sperimentare, ma anche altri angoli diventano interessanti, dalla scrittura etica al mondo della campagne creative che tornano di gran moda.

Si tratta solo di comprendere che questo mestiere è diventato più frammentato, difficile e meno robotico, bisogna farsi su le maniche. 

Dai tempi del circo, le persone consumano intrattenimento ed hanno degli idoli. Messi ai mondiali, Messi e i mondiali, per capirci. Quello che sappiamo noi è che sulle piattaforme agonizzanti c’è ancora un sacco di gente, su quelle emergenti l’attenzione è più viva che mai, e il voyeurismo digitale è la nuova TV. Non mi sembra un ecosistema morente solo perché la gente non pubblica ma segue, non scrive ma guarda. Creeremo più contenuti video e meno testuali, ripenseremo i formati. È vero che l’advertising è guidato da un macchina, ma davvero pensavamo che il nostro mestiere sarebbe stato imputare dati di CPC minimo su un pannello al posto di progettare journey sociali e punti di contatto con un prospect o cliente?

Il marketing è comprendere se le persone devono risolvere un problema o vogliono vivere un’emozione, e come si comportano per rispondere a questo mal di pancia. Il branding è convincere che il tuo prodotto è quello giusto per far passare quel mal di pancia. Il resto è un mezzo non un fine, ma sono venti anni che con mezzi e fini si campa di marketing digitale. Come sempre, non è cambiato nulla, abbiamo solo paura delle scosse di assestamento del sistema. 

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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