Step back, un passo indietro, io il primo a farlo. Spesso concentrati sui vari progetti, ossessionati da prospettive di guadagno, oberati dal lavoro, perdiamo il contatto con quelle che sono le basilari regole che dovrebbero guidare la nostra mente (prima ancora che il nostro dito sul tuchpad). Utile, a me per primo, provare ad estraniarci, alzare la testa e ripetere a memoria, proprio come da piccoli al catechismo, qualche nozione base di riferimento per la gestione professionale di brand sui social. Ecco i miei 10 comandamenti, rivistati in chiave 2.0:
- Io sono l’immagine tua, non avere altre identità al di fuori di me. Non esiste un’identità online, esiste un’identità unica che è il risultato di quello che fai on e off line.
- Non aprire canali, profili, account invano, senza aggiornarli.
- Osserva quello che accade in rete prima di muoverti. E osserva i risultati che hai raggiunto dopo esserti mosso.
- Onora la sacralità della community. Alla gente non importa di te, vai tu nei luoghi di conversazione del web. Intercetta nella rete persone interessate e portale da te.
- Non vendere prodotti sui social, semmai acquista fiducia.
- Non commettere atti impuri, educazione e rispetto prima di tutto, anche se non ti viene concesso.
- Non rubare idee agli altri, non copiare. Ogni realtà è unica e per ogni contenuto ci sono i propri contenitori.
- Non pronunciare falsa testimonianza: sui social gli scheletri nell’armadio vengono a fuori.
- Non desiderare engagement, fai in modo che arrivi con la qualità dei contenuti. Costruisci relazioni e reti sociali con solide basi.
- Non desiderare ardentemente di postare/pubblicare contenuti. Prima programma, pianifica, poniti dei KPI strategici.
Il tono giocoso sul quale si appoggia il legame tra i comandamenti e i social nasconde una profonda riflessione sui modi di gestione della presenza online da parte di alcuni brand (soprattutto PMI). Frequentemente, ormai, un po’ per moda, un po’ per reale interesse, si entra in questo contesto sociale, ma lo si fa dalla prospettiva sbagliata.
Un’azienda è ospite online (inizialmente anche poco gradito), in quanto intacca la purezza dell’opinione genuina dell’utente comune, portando in spazi di discussione che non le appartengono proposte, riflessioni, idee viziate e deviate da obiettivi di business. E perché mai una persona dovrebbe ascoltare quello che ha da dire un brand che si permette di entrare in casa sua, senza neanche togliersi le scarpe sporche o chiedere permesso?
Il punto è che per tutto ciò che non è socialità allo stato puro c’è già il sito (restando nell’online). Se voglio venire nel tuo albergo, cara azienda, ad esempio, sarò io, semplice navigante, che ti cerco e (se ti fai trovare) verrò ospite da te all’interno degli spazi che hai costruito per accalappiarmi. Ma se non ti conosco (e entri nella mia rete sociale prepotentemente) renditi conto che sei nella stessa posizione di colui che ti suona a casa per venderti una bibbia (o un aspirapolvere) o dell’operatore telefonico che ti chiama alla 10 la sera sul telefono fisso. Ovvero ti fai odiare. Profondamente. Col risultato che gli investimenti in tempo e risorse che destini ai social ti si ritorcono contro.
Altra cosa, invece, è creare, piano piano, una community, fatta di persone che si interessano di quello che dici, persone che hai conosciuto personalmente e che ti hanno apprezzato, persone che ti ascoltano in quanto offri loro un motivo (valore aggiunto) concreto per ascoltarti, persone che ti seguono perché parli di argomenti, questioni, temi che li toccano da vicino e per quali vogliono di sprecare tempo (per leggerti e risponderti). E se riesci in questo, saranno le persone stesse che si faranno media, che a loro volta promuoveranno il fatto che sei credibile, che si fideranno di te.
Insomma, direbbe un maleducato, li stai prendendo per i fondelli? Forse. Ma non del tutto. È un compromesso ad oggi accettato da entrambe le parti, un terreno comune sul quale ci si può confrontare e su cui si può inserire il seme che ci farà coltivare relazioni vere e profonde. E raggiungerlo, per molti brand, è già un’impresa (in tutti i sensi!).