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Essere social non è obbligatorio

Il marketing digitale italiano vive un momento molto strano, che forse nell’Hype Cicle di Gartner si posizionerebbe nella
fase di Trough of Disillusionment, che andiamo a definire:

Trough of Disillusionment: Interest wanes as experiments and implementations fail to deliver. Producers of the technology shake out or fail. Investments continue only if the surviving providers improve their products to the satisfaction of early adopters.

Lo scenario in realtà è molto semplice, ed è cominciato qualche anno fa: le aziende hanno notato che i loro investimenti in comunicazione (ad esempio le fiere) non tiravano più, hanno sentito parlare di cose molto fiche come l’e-commerce o i Social Media, appannate da metriche della vanità di dubbia estrazione, ed hanno affidato “gli ultimi 20.000 euro” allo stagista di turno, anche questo tema già dibattuto su questi schermi. Questo mix letale ha sconfortato aziende e imprenditori, alla ricerca di un Social Media ROI introvabile, equiparato al Web Marketing ROI per mancanza di conoscenza, e spesso ulteriormente zavorrato da piattaforme web non performanti. Poi vennero altre mode, il co-design, il business design e via dicendo, altri soldi, altri risultati nebulosi. Dove stiamo sbagliando?

La verità è che oggi si comincia a pensare ad un progetto partendo dalla comunicazione e soprattutto dalle metriche di soddisfazione del management e non dell’utente. Questo fattore è pericolosissimo perché ancora più sottile rispetto alle vanity metrics: non si guardano o si millantano “i fan” ma si definiscono kpi intermedi che spiazzano e confondono. Ho trovato un pdf in cui è riportato il concetto di patina, un concetto sociologico che ci viene in aiuto:

McCracken, ad esempio, analizza il fenomeno della creazione di “patina” su certi oggetti – di valore – a significarne lo status (McCracken, 1988). La patina è quella qualità che un bene assume con il passare del tempo e che permette di inferire un certo status, per coloro che possiedono tale bene. I passaggi logici che permettono tale inferenza sono i seguenti: l’entità della patina di un bene è funzione dell’età di quel bene; la durata della vita di un bene si assume collegata alla durata del possesso di quel bene da parte di una famiglia; il possesso del bene, per un certo periodo, è
indicativo del livello di disponibilità economiche, che a sua volta indica da quanto tempo una famiglia ha usufruito di un certo livello di status.

Il problema è che si è creata una patina in cui le aziende comunicano, si comunicano e promettono ma poi.. nulla di fatto. Sto pensando ad esempio ad un recente caso di un prodotto finanziario in cui il brand ha utilizzato tecniche di co-creation e co-design ed ha attivato un lungo racconto social su questo tema per poi.. lanciare il prodotto con il solito bonus economico su un prodotto tecnologico. Attiva un rapporto con noi, ti regalo l’iPhone.. serviva davvero tutto questo rumore precedente? La verità è che se il Social Media Marketing è un esperimento di comunicazione e non di Social Business, è meglio lasciare stare. Anche i blogger hanno onestamente un po’ stancato se chiediamo loro “il post”. Mi piacerebbe in futuro vedere più influencer e clienti coinvolti a progettare, orgogliosi di mettere la firma su un prodotto, e non solo sul comunicato stampa digitale di una giornata a tarallucci e vino in cui viene raccontato il finto processo co-generativo di quel prodotto.

Il denaro, nel web marketing, oggi risiede solo in maniera residuale sui Social Media. Una strategia integrata deve forzatamente coinvolgere sito web, landing page, e tecniche di lead generation. Ma soprattutto deve coinvolgere tutto assieme perché la cosa più difficile da spiegare è che “un lead” non arriva dai Social o dai motori o dal PPC, arriva dalla multicanalità, dall’esperienza utente rafforzata di continuo, da una serie di spinte verso un prodotto o servizio, e non c’è da vergognarsi a dire che la natura organica dei social (la fanpage gestita) in questa strategia funge da piattaforma di caring e dialogo necessaria, ma non sufficiente. Se le aziende capiranno questa parte, avranno capito tutto.

Oggi dovere di chi disegna strategie di Web Marketing è perseguire l’astrazione dalle mode e dai mezzi più in voga, per osservare con occhio critico tutte le leve a disposizione e mixarle di conseguenza, partendo da obiettivi numerici condivisi e modificando continuamente le azioni in atto. Al tempo stesso chi compra sbaglia a mettere in difficoltà il consulente con la domanda “quanti lead mi porterai” perché è arte divinatoria la previsione. Ma questo, è il gioco delle parti. La sensazione però è che facendo un po’ meno rumore e dando a ogni strumento il giusto peso e soprattutto la giusta collocazione nella strategia, si farebbe il bene di tutti, soprattutto il proprio nel lungo periodo.

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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