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Non ci resta che il brand

“Alberghi chiusi. Manifesti già sbiaditi di pubblicità”. Sono parole del cantante, che ben si addicono a un momento di certo non memorabile per l’umanità. Un momento in cui il marketing sornione se ne sta a guardare ma, diciamoci la verità, lavorando in quel percentile ricco e famoso della società (signorile, di massa), se la passa anche meglio di altri. Ma se a livello sociale la “boiled frog” non è a temperatura, è solo perché viviamo in un Paese dalla forte cultura del risparmio privato, ed anche perché un po’ di assistenza agli imprenditori tutto sommato è arrivata. Magari sotto forma di quella cassa integrazione che è tutto da dimostrare sia davvero finita nelle tasche di chi la meritava. Ma non è di politica e società che vogliamo parlare. 

Il gancio sociale ci serve per svelare il nostro indiziato, cioè i consumi e le PMI. L’ecosistema che avevamo il piacere di abitare e deturpare prima della pandemia, si reggeva sostanzialmente su una motivata fiducia basata su un dato: da qualche parte, il mondo, cresceva. Forse la bassa bresciana faticava, e con lei i distretti industriali veneti e toscani, ma i campioni della crescita sono riusciti nel tempo a riqualificare la produzione, aggregare aziende morenti e costruire una nuova proposta di valore. Con gli “old money” hanno spedito i figli in business school di qualità, e tutto sommato la Porsche in garage c’è ancora. Questo sistema, raccontato nel libro “la società signorile di massa” che non smetteremo mai di citare, ha alimentato resort di lusso, ristoranti e circoli sportivi. Ed ha scaricato anche sulla “nuova classe media” l’accesso a prodotti di buona qualità (non so perché ma penso a Jeep Compass e Renegade ad esempio) rendendo l’Italia un paese povero ma non poverissimo. E nel giorno in cui l’Italia reagisce investendo 10 milioni sul Netflix della cultura (tremano i polsi) scopriamo che è tutto finito. Scopriamo che il nostro amico ristoratore è in piazza giustamente incazzato come una biscia, che anche chi aveva innovato nel retail è disperato all’idea di non vendere i regali di Natale e l’umano, sempre meno interessato alla componente sociale di primo miglio del proprio sforzo, compra vogatori, buon vino e food delivery da aziende che le tasse, banalmente non le pagano in Italia. E forse da nessuna parte. (Per inciso, quell’utente è chi scrive). 

Ma quel ristorante, quello chef, quel punto vendita. Quell’azienda e quel circolo sportivo, hanno ancora qualcosa di intatto in un contesto in cui le persone consumano meno, ma continuano a consumare? Mangiano diverso ma continuano a mangiare, fanno sport, ma lo fanno diversamente. Cosa è rimasto? È rimasto il brand, e sono rimaste le competenze. Trovo francamente ammirevole ma stucchevole il tentativo di aggirare la norma con la cena in hotel di turno, un colpo di coda che non durerà a lungo. Cosa durerà a lungo? Sua maestà il brand.

Quell’esperienza al ristorante, quel circolo tennis in cui ti senti sempre coccolato e ti chiamano per nome, quell’hotel dove vai perché il bagno turco è una figata. Nel tempo, questi luoghi, e i loro maestri di cerimonia, hanno costruito relazioni che, intrecciate con il prodotto, hanno dato vita alla marca. La marca è resistente al virus. È davvero difficile da questi palchi dare lezioni di sopravvivenza, soprattutto se si è convinti che il pivoting sia più o meno una cazzata. Il pivoting consiste nel ripensamento quasi totale del proprio business, perché è una cazzata per una PMI o un ristorante? Per dirla in breve, è una cosa da startup. Bisogna essere allenati al pivoting, bisogna essere triatleti e non maratoneti. La domanda è allora, esiste un’alternativa che permetta di far leva su prodotto e relazioni spremendo “succo di brand” in un momento così complesso? Ragioniamoci assieme. 

Essere una PMI o una palestra o un ristorante, ovviamente cambia lo scenario. Forse è anche onesto dire che “se avete le possibilità finanziarie per aspettare che passi la tempesta, chiudete i boccaporti e fatelo”. Se non potete farlo però, un po’ di succo di brand è a nostro parere possibile estrarlo. Cosa faremmo noi:

  • Pensata creativa sui prodotti ancora attivi o attivabili (quel campo in erba sintetica può diventare un co-working? Quell’istruttore a casa a riposarsi può fare personal training a distanza? Il food delivery può essere abbinato a una “gamification” in cui si aggiunge una degustazione di buon vino guidata da un sommelier?)
  • Divisione dei clienti in segmenti per conoscenza e confidenza (super amico, conoscente, sconosciuto)
  • Contatto (email, whatzapp)
  • Erogazione

Perché il brand farà la differenza? Perché in questo momento la disponibilità all’ascolto è bassa, ma le persone “hanno due soldi, il morale a terra e la necessità di passare il tempo”. È qui però che bisogna pensare creativo, il ristorante deve trovare il modo di farti da baby sitter, la palestra deve regalarti Netflix, la PMI deve aprire il mercato cinese quando non l’aveva mai esplorato. Insomma sono tempi pessimi, ma non abbiamo alternative. 

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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