Scrivevo a gennaio della differenza tra comunicazione e innovazione, sulla stessa onda vorrei oggi approfondire uno dei modelli di innovazione aziendale che più si rivelano interessanti in questo momento storico, anche e soprattutto per le PMI cui tanto diamo spazio su questi schermi. Devo l’ispirazione di questo post a Marco Bettiol, Davide Dattoli e Nicola Zago, compagni di recenti chiacchierate in due distinte occasioni, ultima il Technology Forum di Castelbrando dove i megatrend hanno convinto, ma l’innovazione “pane e salame” resta un tema parzialmente inevaso.
Ci è chiaro che oggi le aziende italiane innovano poco, ed al tempo stesso le startup sono chiuse a riccio nel proprio business, concentrate nello sviluppo digitale e non di un prodotto che vede in time to market e delivery le chiavi di successo. Poi ci sono i consulenti, sempre più orientati a pennellare in aria pensieri strategici, ma invisi a sporcarsi le mani col set up di adwords o il copy. Poi ci sono gli stagisti e i “ripensati” in azienda, persone che alla fine hanno preso in mano social e sito, con evidenti effetti disastrosi (ricordate però che se queste persone hanno il cervello acceso non ci saranno problemi). Dopo questa veglia funebre digitale, veniamo ai punti di forza:
- Il nostro paese ha da mettere sul banco prodotti e servizi che spiccano per manifattura e creatività, in un momento in cui questi fattori sono chiave per la competitività
- Ogni azienda ha una storia da raccontare
- I giovani sono bravissimi, creano e distruggono cose. Mi ha personalmente impressionato il lavoro di alcuni studenti dell’Università di Padova che hanno creato, al primo anno, dei progetti aziendali degni di una buonissima agenzia di consulenza: dominio, wordpress e video aziendali inclusi. Budget: zero.
Un modello che stiamo osservando con interesse è quello dell’hackaton aziendale, provato da più realtà come strumento di innovazione operativa, interessante da un lato per dare un modello di business ai poli di innovazione e co-working, ma soprattutto per offrire alle imprese quell’accelerazione che gli incubatori italiani hanno dimostrato di saper dare alle startup. C’è un però. Manca ancora qualcosa. L’hackaton è un modello di amore fuggente, un bagliore che rischia di sparire se non “scaricato a terra” con la giusta energia, ed è proprio per questo che è forse nella figura dell’hacker aziendale che va ricercato il giusto completamento di questo modello, zoppo ma promettente. Chi è cosa fa l’hacker aziendale?
- È giovane, ed opera al servizio dell’azienda guidato da consulenti e direttori d’orchestra, non viceversa
- Se serve (cito Davide), “ti aggiusta anche il router”, non ha paura di sporcarsi le mani
- È inserito in un network di altri giovani che aiutano altre aziende (dove altri giovani significa “sveglia, università” ed altre aziende significa “sveglia, associazioni di categoria”)
- L’esperienza di Business Hacking è il suo stage, visto che questa figura è all’università, e non per forza agli ultimi anni
È verissimo che per far funzionare le aziende oggi basta poco, che esistono strumenti quasi gratuiti. Strumenti che vanno però settati e dominati, conosciuti e manipolati coi tempi e il mood mentale del web. L’azienda non può farlo, e per la consulenza in molti casi (primo la P della PMI) è insostenibile. C’è bisogno di formare figure snelle, giovani e agili, pronte a prendere il mano le aziende e, grazie al digitale, portarle a nuova competitività. Cominciamo a ragionarci?
Credits immagine: Yep.ee