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Università, perché non te la stai facendo sotto?

coursera

Negli ultimi giorni ho avuto modo di frequentare con più assiduità del solito un’istituzione di cui mi sono sempre dichiarato innamorato: l’università. E cosa ho trovato? Nulla. O meglio, una realtà che ha senza dubbio recepito l’importanza delle competenze multidisciplinari e del digitale, in cui agiscono community stupende e progetti di contaminazione come quello dei marketers di Venezia, ma che sembra più o meno ignorare le bombe atomiche che cadono a pochi metri dalla propria illibata sede. E non è buon segno che community come la sopra citata debbano “sopperire in crowd” alla formazione standard organizzando corsi paralleli su temi più interessanti di quelli che l’università offre e, ben si badi, molto più spendibili sul mercato del lavoro (es. personal branding). Prendiamo due esempi recenti, come spunto per ragionare.

Coursera, la popolare piattaforma di digital learning, organizza un master in business administration, il noto e famoso MBA. Coursera è un’azienda che sviluppa partnership con le migliori università, è lo spotify della formazione, è una realtà che presto o tardi deciderà con ranking molto più democratici e veritieri quali sono davvero le migliori università. La vostra università si sta attrezzando per garantirsi un appeal verso questi nuovi attori o sta per caso, ancora, rinnovando i sistemi operativi dei computer all’interno delle aule?

Non basta, prendiamo un giovane smart, alla ricerca di una formazione specializzante, che incrocia questo articolo di TechCrunch che recita sostanzialmente “gli acceleratori sono le nuove business school“, bene. Quello che appare chiaro è che oggi esistono luoghi contaminanti in cui non è più “lo stage garantito in azienda” a fare la differenza, ma il fatto che mentre dal minuto uno della tua vita tu stai facendo azienda, qualcuno ti insegna anche sul campo le nozioni che ti servono. Il claim di General Assembly è spettacolare, “working knowledge”. Working. Knowledge.

La domanda scomoda è la seguente: se io che a Marketing Arena cerco una persona da assumere vado nella pagina “browse talents“, trovo competenze migliori o peggiori di quelle formate (in 4 anni e mezzo in più) dalla pomposa università? La risposta è meno banale di quello che sembra, ma in quella risposta alberga la salvezza per l’università italiana e non solo. Mi è chiaro che questi luoghi rischiano di formare “geometri più che ingegneri”, applicatori di soluzioni scarsi nel pensiero, la cui difficoltà sarà quella di costruire soluzioni partendo non dalla tecnica ma dai codici che quella tecnica hanno generato (la matematica, la statistica, etc) ma non è detto che un percorso al contrario non sia possibile, e soprattutto per riemergere dopo questi percorsi gli studenti devono fare oggi una gran fatica, per non parlare di dottorandi e post-dottorandi che dovrebbero essere figure bramate, e si trasformano invece in topi da assegno di ricerca malpagato, fino a rientrare in azienda con uno stage a 29 anni, impossibilitati a colmare il gap col 20enne figlio dell’amico che capo che lavora già da tre anni, però più colti.

Nel frattempo metà dei laureati UK fa un lavoro per cui ritiene non serva la laurea, ed alcune università USA (si veda grafico) sono semplicemente morte. (Fonte: Vladi Finotto, ottimo il suo libro).

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Questo articolo non vuole essere un inno al futuro o agli incubatori o uno scritto di scherno verso una realtà da cui nessuno può prescindere. È però un invito a ripensare gli output e i titoli che il progetto universitario garantisce. Il curriculum è carta straccia anche se infografico, il tema non è il formato europeo. Il tema è che oggi la competenza e l’esperienza surclassano 80-20 le nozioni acquisite. È stupendo aver studiato matematica finanziaria ma la competizione con il talento olandese che ha fallito in due startup e conosce 8 tecnologie o è certificato Google Adwords (che non vuol dire nulla, ma certifica almeno che sa stare al mondo) è dura, per non parlare del fatto che un inglese fluente è la base di ogni ragionamento.

Il progetto universitario si può ancora salvare, ma non rimane molto tempo.

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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