Il mondo digitale si muove alla velocità della luce e, mentre noi cerchiamo di tenere il passo, nuove domande nascono sempre dietro l’angolo. Come si inserisce l’intelligenza artificiale nel quadro del diritto d’autore? Quando può essere creativo e autentico un contenuto generato dall’AI? Molti temi sono ancora aperti, ad esempio chi possiede i diritti d’autore su un brano musicale generato dall’intelligenza artificiale? Il creatore dell’algoritmo, l’utente che ha istruito la macchina oppure l’AI stessa anche se non è un’entità giuridica? In questo articolo cerchiamo di capire insieme lo stato attuale dell’AI in tema di copyright.
Come funziona l’AI generativa?
L’AI generativa è progettata per creare nuovi contenuti, come immagini, testi o musica, imitando quelli prodotti dagli esseri umani. Utilizza modelli avanzati, come le Generative Adversarial Networks (GAN) e i modelli di linguaggio (es. GPT), per generare dati completamente nuovi basati su ciò che ha appreso durante l’addestramento.
L’AI non è il machine learning perché quest’ultimo si concentra sull’apprendimento dei dati per fare previsioni o classificazioni: il machine learning non crea nuovi contenuti, ma ottimizza le decisioni in base ai pattern rilevati nei dati esistenti. Si può quindi dire che la differenza principale tra l’AI e il machine learning, ruoti attorno al concetto di creatività. Ed è qui che nasce il tema giuridico: come viene addestrata l’AI? Rispetta le leggi sul diritto d’autore mentre assorbe un’infinita quantità di dati? E soprattutto, chi possiede ciò che crea?
Copyright e AI: case study
SPOTIFY: STOP ALLE TRACCE ARTIFICIALI
Universal Music Group ha lanciato un segnale forte e chiaro, mettendo sotto i riflettori una realtà preoccupante nel mondo della musica digitale. Nel mirino? Boomy, la piattaforma che permette ai bot alimentati da intelligenza artificiale di creare brani musicali a catena. La situazione è diventata così urgente che Spotify ha deciso di agire subito: ben il 7% delle tracce generate artificialmente è stato rimosso dalla piattaforma!
Perché tutto questo? Semplice: prevenire violazioni del copyright. Quando un algoritmo usa testi, suoni o immagini di altri senza consenso, infrange regole fondamentali per la protezione della creatività. In poche parole, Spotify non solo protegge i diritti degli artisti, ma ribadisce l’importanza del rispetto per l’autenticità musicale. E in un mondo dove la creatività è il cuore pulsante, non c’è spazio per scorciatoie artificiali!
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IL NEWYORK TIMES CONTRO I GIGANTI TECH
Il Times esprime preoccupazione per due questioni principali. Prima di tutto, la presunta violazione del copyright, dal momento che molti di quegli articoli sono accessibili solo agli abbonati. Ad esempio, chiedere a ChatGPT chiarimenti su un argomento di attualità e ricevere una risposta che cita direttamente il lavoro di un giornalista del Times, senza autorizzazione, è un punto su cui il quotidiano chiede maggiore attenzione. In secondo luogo, ci sono le cosiddette “allucinazioni” dei sistemi di intelligenza artificiale: informazioni imprecise o errate che, travisando le fonti, potrebbero influire negativamente sulla reputazione del prestigioso giornale.
Il New York Times lancia un messaggio chiaro: è importante trovare un accordo che permetta un utilizzo corretto dei contenuti protetti. Un passo fondamentale per salvaguardare la qualità dell’informazione e la credibilità delle fonti, in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale gioca un ruolo sempre più rilevante.
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GETTY IMAGES E STABLE DIFFUSION
Un caso che sta ridefinendo il panorama del diritto d’autore è quello che vede coinvolte Getty Images, una delle più celebri agenzie fotografiche al mondo, e Stable Diffusion. Al centro della disputa c’è l’uso delle immagini: con il suo sistema “Stability AI”, Stable Diffusion è accusata di aver utilizzato milioni di fotografie protette da copyright per addestrare la propria intelligenza artificiale, senza autorizzazione.
Il cuore del problema sta nel fatto che le immagini generate dall’AI sarebbero così simili a quelle reali da sollevare dubbi sulla loro originalità e sulla legittimità del processo. Questa controversia solleva una domanda cruciale per il futuro del settore: fino a che punto è lecito utilizzare opere protette per creare nuove forme di creatività digitale?
Il caso Getty Images-Stable Diffusion pone un interrogativo che tocca non solo i confini legali, ma anche l’etica nell’era dell’intelligenza artificiale. Un tema che si rivela sempre più centrale nel mondo dell’innovazione e della creatività digitale.
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Il diritto d'autore è ancora all'altezza?
Le leggi esistenti, nate in un’epoca analogica, possono reggere l’urto del progresso digitale? Le zone grigie della normativa diventano terreno fertile per chi cerca di sfruttare queste lacune a proprio vantaggio, spesso ignorando la legalità.
È qui che il concetto di “copyleft” diventa interessante. Il copyleft è una filosofia e un sistema di licenze che si oppone al tradizionale modello di copyright. A differenza del copyright, che limita l’uso di un’opera da parte di terzi, il copyleft garantisce che un’opera possa essere utilizzata, modificata e distribuita liberamente, a condizione che ogni versione modificata dell’opera mantenga le stesse libertà. È stato ampiamente utilizzato nel campo del software open-source, ma il suo impatto nel contesto dell’IA è ancora da esplorare. Il copyleft ha radici profonde nel progetto GNU di Richard Stallman, nato per rendere i software aperti e migliorabili da chiunque.
In questo panorama in continua evoluzione, il diritto d’autore dovrà adattarsi. La sfida sarà trovare un equilibrio tra la protezione della creatività umana e l’uso responsabile delle tecnologie emergenti. In questo contesto, il copyleft potrebbe essere una delle chiavi per aprire la strada a un futuro in cui l’AI possa crescere senza violare i diritti degli artisti e dei creatori. Il futuro è qui, e spetta a noi decidere come vogliamo affrontarlo.