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Università: la voce di Gloria

Ospitiamo volentieri il contributo di Gloria Neri, studentessa di scienze della comunicazione a Bologna

Non amo i luoghi comuni, ma quando mi confronto con il dibattito sulla formazione universitaria mi riaffiora questa citazione biblica: “Perché stai a guardare la pagliuzza che è nell’occhio di un tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”.

Sento e leggo che tutto va male, perché non c’è lavoro, perché si vive di sole raccomandazioni e il sistema universitario non garantisce la formazione professionale adeguata a un contesto lavorativo in evoluzione. Tutto vero. Tuttavia sentenze di tal genere mi pare abbiano semplicemente fomentato un clima di insoddisfazione e frustrazione senza risultato altro. Non sarà giunto il momento di avere il coraggio di cambiare prospettiva d’analisi?

Smettiamola di replicare l’attitudine insita nella nostra classe politica di far rimbalzare le colpe sull’altro. E, per restare fedele al qualunquismo, prima di voler stravolgere il mondo, cambiamo noi stessi.

Ripensiamo al ruolo dell’università, non più e non solo come un investimento meramente economico, ma come chiave di lettura della società, come strumento di interpretazione della realtà. Studio scienze della comunicazione all’Alma Mater Studiorum di Bologna, proprio uno di quei corsi di laurea giudicati insignificanti. Ogni giorno mi batto per dimostrare il contrario, ma come smentire il senso comune quando accanto ho compagni che non frequentano non perché impossibilitati, ma semplicemente svogliati, ragazzi che si lamentano di non avere possibilità, ma incapaci di cogliere le poche opportunità che si presentano loro, persone che spendono il loro tempo non a studiare, ma a leggere libri sperando di cavarsela con il minimo indispensabile per circuire il professore durante l’esame. Per farla breve: c’è sdegno e rifiuto nei confronti delle scorciatoie che permettono solo ad alcuni di emergere, ma poi sembra che noi stessi siamo i primi a cercarle.

Tuttavia, la verità è che io, in primis, mi sento il prodotto di un intero sistema scolastico sbagliato. Un sistema che vede i singoli gradi formativi come blocchi non comunicanti. La scuola media superiore considera l’orientamento come una due-giorni in cui lasciare gli studenti girovagare come cani sciolti tra i padiglioni di presentazione dei corsi di laurea nelle fiere. Non basta. Lo studente deve essere seguito, deve essere guidato in un percorso che, senza esagerare troppo, deve iniziare dal terzo anno delle superiori. I docenti devono individuare i talenti di ognuno e fare di tutto perché li mettano a frutto optando per il percorso universitario che meglio li rappresenta, rendendosi conto che il loro compito non consiste semplicemente nel dissuadere i ragazzi, come ho vissuto in prima persona, dall’iscriversi a una determinata facoltà, perché fabbrica di disoccupati. D’altra parte nulla è scontato: strano a dirsi, ma ho un paio di amici laureati con 110 e lode in medicina in attesa di un posto. L’orientamento non consiste neppure nel fare “terrorismo psicologico” presentando l’università come un mondo in cui gli studenti sono abbandonati a loro stessi e in cui tutto ciò che è richiesto è il mero studio di quantitativi industriali di pagine vuote. Questo è solo un approccio. L’università è molto di più: sta a noi cogliere le possibilità in potenza e attualizzarle.

Ripensiamo al nostro ruolo. Sdoganiamo l’immagine dominante di studenti e insegnanti. Basta con l’idea dei docenti come baroni inavvicinabili: sono persone che talvolta non aspettano altro che uno studente si fermi a chiedere consiglio. Finiamola anche con l’idea dello studentello incapace e indegno di considerazione: siamo menti pensanti che più di ogni altra cosa hanno bisogno di essere ascoltate. Riusciremo finalmente così a costruire un dialogo, una relazione costruttiva che plasmi l’ambiente accademico sulle nostre effettive necessità e non su ideali astratti e utopici.

Selezione e scrematura sono doverose prima e durante gli anni universitari. Se i test d’ammissione, così come sono attualmente strutturati, non conducono a risultati opportuni è bene istituire prove intermedie che siano uno sbarramento per tutti coloro non giunti a un livello di preparazione adeguato. Altro tasto dolente è l’imprescindibile preparazione professionale che pare scarseggiare. Tirocini e stage non sono più una scelta, ma l’unica possibilità per un un’esperienza alternativa allo studio. Tuttavia, sentendoci in dovere di denunciare esclusivamente gli innumerevoli episodi disastrosi soffochiamo le rare collaborazioni positive, riproducendo pessimismo e annullando le già scarse speranze. Diciamo le cose come stanno. Se ci fosse anche solo un caso conclusosi positivamente: ricordiamolo.

Il mio sogno è quello di un’università fatta di studenti assetati di sapere, ragazzi che non si stanchino mai di chiedere e siano presi per mano da insegnanti che non si limitino a far lezione dall’alto di una cattedra, ma che, come mi disse uno di quei professori con la P maiuscola, lavorino solo per loro e dicano “bussate e vi sarà aperto”.

Per l’immagine (che non è di Gloria 🙂 : liberareggio.org

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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