Il calcio può non piacere ma tutti amano le storie di rivincita, le telecronache di vittorie improbabili e l’eterno racconto di Davide che batte Golia.
Allo stesso modo, la favola del Leicester City della primavera del 2016 ha emozionato tutti, anche chi, come me, ancora dopo anni cerca di capire bene la differenza tra un dribbling e una finta.
Dopo essersi miracolosamente salvata nella stagione precedente, le volpi inglesi – tra l’estate del 2015 e la primavera del 2016 – dal quattordicesimo posto in classica si aggiudicano la vittoria del campionato inglese.
La solita storia di un allenatore storico che conosce bene i punti di forza e di debolezza dei propri giocatori? Un fuoriclasse su cui hanno puntato senza rischi? No, un allenatore reduce da una “tragedia” greca, già definito un perdente di successo, e una squadra di sfavoriti senza nessun campione. Claudio Ranieri ha davvero compiuto il miracolo?
Le 5 fasi di Tuckman
Nessun gruppo è una squadra di successo al primo giorno, né sul campo da calcio né tanto meno tra le scrivanie. È responsabilità dell’allenatore, quindi del project manager, fare in modo che un insieme di validi professionisti diventi una squadra. Nel 1965 lo psicologo Bruce Wayne Tuckman teorizzò che l’evoluzione di un gruppo attraversa quattro fasi: da un insieme di persone che non si conosce a un team di lavoro affiatato che ha raggiunto i propri obiettivi.
Cosa accade durante questi step?
FORMING: “Raggiungiamo i 40 punti”
Quando Ranieri arriva nell’estate del 2015 si ritrova una squadra dalla rosa ampia ma di modesto livello. Eppure, l’allenatore ha l’obiettivo chiaro: “Raggiungiamo i 40 punti e solo allora vedremo cosa possiamo fare”.
Come per l’avvio del campionato, i nuovi progetti si aprono con una fase “di formazione”: il momento in cui viene formato il gruppo di lavoro e vengono definite tutte le attività dei prossimi mesi.
Non sempre le figure hanno già lavorato insieme e potrebbero sorgere delle perplessità operative, sia interne al team che da parte del cliente.
In questa fase compito del PM è:
- Lasciare che ogni figura coinvolta condivida le informazioni del suo ambito e capisca il proprio ruolo;
- Spiegare con chiarezza i fondamenti del progetto: perché (gli obiettivi a breve, medio e lungo periodo), cosa (le singole attività per aree di intervento), come (le modalità operative) e quando (tempistiche e priorità);
- Quando possibile introdurre elementi di gamification.
STORMING: la prima sconfitta del torneo
Dopo le prime due vittorie di apertura campionato, i ragazzi in maglia blu registrano una serie di pareggi fino alla prima sconfitta di fine settembre. L’allenatore però non appare teso, anzi, utilizza la disfatta come elemento di motivazione: “Ho chiesto ai ragazzi una reazione immediata”.
Nei gruppi di lavoro tipicamente alla fase di formazione segue quella di storming, in cui le varie figure coinvolte iniziano a lavorare al progetto. A questo punto quasi inevitabilmente ci saranno diverse visioni sul piano, divergenze sul cosa dovrebbe essere fatto e soprattutto sul come.
Questo è il momento più delicato, quello in cui al PM è richiesto di:
- Essere presente e percepire segnali di difficoltà, insofferenza o eventuali incomprensioni;
- Essere una guida e avere sempre la risposta giusta, mostrando un metodo per risolvere eventuali difficoltà;
- Creare un ambiente collaborativo in cui ognuno possa manifestare i propri dubbi.
NORMING: il primo posto in classifica
Alla tredicesima giornata, dall’ottavo posto i Leicester raggiungono il primo. Ranieri sembra aver portato nella squadra certezze e un’identità che mancava e ha trovato il suo riferimento nel team – Vardy, che va in porta per 11 match di seguito.
Questa è la tipica fase di norming: le attività sono avviate e le varie figure coinvolte hanno acquisito fiducia reciproca, raggiungendo un equilibrio operativo, e sono chiare le regole del gioco (come vengono condivise le informazioni, a chi rivolgersi per i quesiti tecnici, come assegnare le priorità e come rispondere alle richieste che arrivano).
È il momento in cui il project manager può iniziare a delegare per favorire l’acquisizione di responsabilità da parte di tutte le figure coinvolte e trovare un punto di riferimento per analizzare i risultati e pianificare eventuali azioni di miglioramento.
PERFORMING: “Voglio continuare a sognare”
Il 14 dicembre il Leicester si ritrova in campo con il Chelsea, vincitori del 2015: tensione ed elettricità sono palpabili nell’aria ma i ragazzi di Claudio Ranieri non mollano. Si inizia a puntare alla vittoria:
“Non voglio svegliarmi, io voglio continuare a sognare” sono le parole dell’allenatore.
Se, come per la squadra inglese, l’evoluzione del team avviene si arriva alla fase in cui si registrano le migliori prestazioni: il gruppo sa perfettamente cosa richiede il cliente e conosce il modo migliore di rispondere alle sue esigenze. Le varie figure, proprio come i giocatori in maglia blu, riconoscono i propri punti di forza e li mettono in gioco per raggiungere i micro obiettivi quotidiani.
Al PM non resta che continuare a monitorare le performance del gruppo, dare supporto nei momenti di difficoltà, celebrare i risultati conseguiti e farsi portavoce con il cliente e del pensiero del gruppo all’interno dell’organizzazione.
ADJOURNING: “Champagne per i miei giocatori”
A gennaio e febbraio del 2016 il calendario inglese è pieno, si rischia stanchezza e mancanza di concentrazione e motivazione. Il campionato prosegue e la determinazione a portare a casa il titolo deve superare qualsiasi limite.
Nel 1977 Tuckman aggiunge al modello un’ulteriore fase, quella della sospensione: quando la fine del progetto è vicina e la tensione sale in prossimità della data di scadenza. Come nella prima fase, il ruolo del PM è il più delicato: deve mantenere alto l’impegno e la concentrazione del team.
Arrivati qui, non resta che alzare la coppa di campione d’Inghilterra!
Ha ancora senso studiare il modello di Tuckman?
Il modello di Tuckman ha evidenti limiti: si adatta a gruppi di lavoro piccoli, le fasi potrebbero non essere lineari ma piuttosto cicliche, il passaggio da una fase all’altra non è molto chiaro sia nelle caratteristiche che nelle tempistiche; inoltre il modello non tiene conto che oggi spesso i membri del team interpretano diversi ruoli.
Quello che ancora oggi Tuckman ci insegna è che un team si sviluppa nel tempo e, oltre ad essere orientato alla performance, è composto da persone con singoli interessi e ambizioni, quindi solo creando un ambiente in cui esiste empatia e ascolto tutti saranno liberi di esprimersi.
Per approfondire lo studio della dinamica di gruppo, consiglio un libro e guardare una storia sul potere del gioco di squadra.