L’argomento non è certo di competenza femminile quindi mi affido a tutti quelli che di sport che ne sanno più di me e sono più appassionati di me; un aspetto però mi ha sempre incuriosito: lo studio delle strategie “ante performance”. Riporto qualche aspetto interessante a tale proposito che ho trovato riguardo al MilanLab (non me ne vogliano i tifosi di altre squadre).
Questa “fucina di talenti” in cinque anni ha accumulato una profusione di conoscenza e di ricerca tale, da aver poco da invidiare sul piano tecnologico e sperimentale agli scienziati di qualsiasi centro di ricerca. Il luogo è protetto da una riservatezza estrema, l’accesso è autorizzato esclusivamente ai calciatori, che possono usufruire di immensi data base di know how costantemente elaborato e monitorato. Proprio come un vero laboratorio!
Il responsabile scientifico del Milan Lab, Matteo Motterlini, da vent’anni studia e insegna logica, economia e scienze cognitive fra Inghilterra e Stati Uniti; ora è anche ordinario di Filosofia della scienza all’università San Raffaele dove investiga i processi di decision maker in disparati settori, dalla finanza alla medicina. Per quanto riguarda la sua attività nel Milan Lab, Motterini lavora in stretto contatto con Jean Pierre Meersseman, chiropata belgo della squadra, il dipartimento di bioingegneria del Politecnico di Lovanio, il Mit di Boston e l’accademia militare di West Point. Gran bei nomi! Ci si chiede nello specifico cosa servano però.
La filosofia del Milan Lab parte dal fatto che la prevenzione della salute prevale sulla cura così come in Cina imperiale si pagava il medico solo fintanto che si era in salute; questa piccola rivoluzione ha permesso a grandi atleti di aumentare sensibilmente l’arco della propria carriera agonistica (Costacurta e Maldini solo per fare qualche nome) e di diminuire il numero degli infortuni non traumatici. Per questo si studiano programmi sulla base delle specifiche e del profilo dettagliato di ogni atleta: si cerca di identificare il livello individuale di eccellenza attraverso la correlazione di parametri quali il sistema neuro strutturale, quello biochimico e l’attitudine psicologica.
Lo studio degli atleti si spinge anche in campo; la Primavera si allena in un campo calibrato con fibra ottica e attrezzato con un sistema di telecamere, i calciatori indossano sensori che trasmettono in tempo reale informazioni sul proprio stato psico fisico al pc a bordo campo. E’ qui che entrano in gioco le collaborazioni accademiche: nel supporto tecnologico, nello sviluppo di algoritmi predittivi e di modelli che integrano tutte le informazioni raccolte.
Il tema è affascinante, ci dimostra che le nuove tecnologie pervadano i più diversi campi ma pensandoci in maniera più approfondita avverto qualche perplessità: può lo sport, attività che attiene alla passione e allo sforzo di migliorarsi, essere parametrizzato in questo modo? Che ci si perda qualcosa? Possono le tecnologie cogliere lo slancio di passione di un ragazzino che si trova per la prima volta in un grande stadio e possono assicurare che quello che “rimane fuori” non sarà un grande atleta? Ad oggi queste tecnologie sono limitate nelle competizioni ufficiali ma non è detto che presto possano essere affrancate facendoci vedere un calcio giocato da atleti eccellenti ma forse un po’ robotizzati. Che ne pensate?
Fonte: Ventiquattro
Ilaria Paparella