HomeBlogMarketing e ComunicazionePerdere una gara, per vincere una partita

Perdere una gara, per vincere una partita

Può un’agenzia sentire il bisogno di Great Resignation dai propri clienti e prospect? No, se i clienti li ha scelti, sì se i prospect si sono rivelati errati, ma in verità anche sì, se i clienti non vanno più bene per lei, o lei non va più bene per loro.

Non ho mai pensato di fare un mestiere particolarmente edificante, non è cardiochirurgia, è così. Ogni giorno però abbiamo messo quello che avevamo, poco o tanto, per poterci dire parte di una industry interessante, che facesse esplodere creatività, risultati, e pensiero. L’indipendenza è stata, ed è, causa e conseguenza di un modello un po’ family un po’ company, calabronicamente errato, ma parimenti volante. È il modello di Gummy, di Twow, di Noiza, ma anche delle più grandi Web Ranking e Caffeina. Amici, concorrenti, un po’ di tutto. È il modello che guarda ad AKQA, H-Farm Innovation, We Are Social con il nanismo dei nani e l’ambizione dei wannabe giganti, o almeno non nanissimi. Ancora in direzione ostinata e contraria rispetto al “comprami, dammi 400K, altri 400 in earn out e 1000 mettili in aumento di capitale, così coi miei utili futuri mi aiuti ad avere un guardiano del mio EBITDA perché ho paura di non farcela da solo”. 

Ma quelli che erano 20 collaboratori sono diventati 55 dipendenti, e quindi quella gara la fai. E quell’aereo da Dublino lo prendi perché crescere double digit è figo, ma sputare il sabato di lavoro no. E come diceva Faletti di un lavoro più serio, quello sì, tanto poi ci si va lo stesso. E poi arriva lui, bello bello, il prospect famoso, che ti fa la gara, e poi la annulla per motivi interni. E tu resti interdetto perché una volta quelli bravi, i creativi associati e incazzati, ti hanno detto che la pubblicità è seria, c’è un diritto d’autore, c’è qualcosa di artistico museale e dirompente. Siamo dei Banksy al servizio del male, ma cazzo sempre underdog e underground siamo, sennò come facciamo a dire che nostra madre ci avrebbe preferito pianisti in un bordello. E adesso che gli dico io al team, che ha fatto le domeniche (poche) per presentare un progetto a cui teneva (tanto)? Gli dico che l’AD della partecipata ha cambiato idea e che il loro concept di campagna lo abbiamo battuto sulla macchina da scrivere invisibile? È lavoro direte, un cazzo è dignità.

Ed ha ragione Paolo quando dice che è colpa nostra che alle gare partecipiamo, ed è vero che è colpa nostra perché non siamo in grado di far cartello nel movimento, trovalo tu un notaio che ti fa pagare 1 euro un atto di compravendita, o che ti regala l’assessment del mutuo. E non c’è sfogo in questo scritto, c’è una dichiarazione di intenti: quella di lavorare con e per gente seria. Succede una volta l’anno che qualcuno si permetta di giocare sporco, ma la promessa è di pulire anche questo uno. Non so se rinunceremo a un pezzo di margine, scriveremo 5 righe di manifesto etico da anticipare al cliente o magari non faremo nulla e tutto sbollirà, ma so che Marketing Arena nel suo piccolissimo vuole giocare una partita di cambiamento, che è la stessa delle righe di Alessandro e Fabrizio che dicono a Facebook “stai morendo ed io ti mangio le briciole dal collo finché posso, elefante, poi ciao”, non è proprio banalissimo nei confronti di chi ti rilascia una certificazione o comunque ti dà da mangiare. Mi sembra però un messaggio intelligente.

Mi muovo da solo la critica che arriverà dai paladini del gessato grigio: “Un AD non può parlare così se si vuole sembrare un’azienda seria”, vero, ma se volevo essere uguale a una Big4 applicavo lì. Noi vogliamo lavorare in un ambiente che crede che il tempo delle persone è qualcosa da valorizzare, la mattanza degli spara post è una partita che non ci interessa. A volte fare la propria parte significa anche segnare una posizione, spiegare cosa ci motiva.

La fuori c’è una partita molto molto interessante da giocare, e non sarà una gara annullata a farci perdere entusiasmo, ma è ora di considerare il tempo una risorsa preziosa, ne rubiamo alle nostre vite e non è il caso di farlo per chi poi decide di sputare sopra quello sforzo. Non ci anima nessun istinto politico o consorziale, non c’è bisogno di un’associazione per tenere lontano chi non ti rispetta, ma abbiamo purtroppo imparato sulla nostra pelle che “il bullo va bullizzato”. Il prospect in questione da noi non avrà mai più una proposta di progetto, perché è giusto così.

Siamo tanti e se ne farà serenamente una ragione, ma se ognuno metterà i suoi 2cents forse anche la comunicazione italiana sarà un po’ più interessante. Con buona pace della loro pistola sparabrief, che rischierà prima o poi di sparare a salve.

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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