Veneto e Friuli Venezia Giulia hanno dato per lungo tempo un’immagine di sviluppo impetuoso, di vitalità produttiva particolare e quasi inimitabile, fondata su piccole e medie aziende a conduzione spesso “padronale”, incentrate sulla produzione di qualità, particolarmente propense all’export, all’innovazione, all’iniziativa imprenditoriale anche rischiosa.
In seguito a un periodo roseo, in tempi recenti c’è stata una flessione importante, innescata dalle difficoltà del settore chimico. A rendere complicata la situazione imprenditoriale si inserisce anche la concorrenza cinese sui prodotti tessili in generale. Secondo la Carini, il Triveneto è il risultato quindi di un mero aggregato di piccole e medie imprese mature che però non hanno sviluppato un modello comune. Hanno fatto un ampio uso del “sommerso”, delle svalutazioni della lira e dell’evasione fiscale senza tuttavia innestarsi in un disegno politico unitario, che diventa l’elemento assente che ha determinato la crisi.
La Carini prosegue sottolineando che oggi è in corso una sorta di rinascita del Triveneto, che perseguita a voler occupare un ruolo importante nella produttività italiana. Il Rapporto 2007 sul Triveneto mostra un Pil in crescita. E’ ancora una ripresa a macchie, non omogenea, ma apparentemente solida, che però porta con sé dei difetti: il Triveneto è chiuso, non coopera con le altre regioni italiane: le vede come avversarie anziché come potenziali partners. Insomma, rimane snobisticamente in una posizione sopraelevata rispetto alle altre regioni, con cui non si apre e non scambia risorse.
Siete d’accordo con le tesi della Carini? Il distretto industriale è un modello sufficiente, che si sussiste da solo (a prescindere dalle politiche comuni adottabili), oppure si avverte un’assenza di una strategia a più ampio respiro, che inevitabilmente blocca lo sviluppo di questa intraprendente zona d’Italia?
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