Ci voleva un ottimo articolo di Susan Cain su Wired, per portare alla luce quello che, a parer mio di sbruffone, è sempre stato scontato: lavorare da soli, lavorare meglio. Un elogio alla solitudine; ne sentivano il bisogno gli introversi costretti a prendere parte a teamwork imposti dalle aziende, solo perché ora questa è la via più “in”.
La scrittrice descrive come chiassoso e distraente il lavoro in gruppo, ma l’aspetto più importante, e su cui non posso che essere d’accordo, è quello in cui scrive di come il gruppo limita la creatività e la libertà di espressione: esistono individui con personalità che emergono all’interno del gruppo, o perché effettivamente hanno un carattere più forte o forse perché è proprio il gruppo stesso a portare queste personalità ad agire così. Persone più introverse, non per questo meno creative, assoggettano la loro opinione a quella altrui, sia perché non amano mettersi in gioco, sia per rispettare la loro insicurezza e per non essere giudicati dai colleghi; qui scatta il meccanismo per cui chi ha un profilo caratteriale più deciso prende in mano la situazione, sentendosi quasi obbligato a farlo, e proponendo idee che non sempre si rivelano essere le migliori.
Il lavoro di gruppo si rivela distraente e non sempre funzionale, ma la soluzione c’è e si chiama crowdsourcing.
Questo strumento, che sicuramente non giunge nuovo alle vostre orecchie, è già utilizzato da molte aziende e consiste nello sfruttare le potenzialità della rete internet per mettere in contatto persone che lavoreranno ad uno stesso progetto attraverso piattaforme web. È fresca la notizia che il ministro Giulio Terzi ha deciso di utilizzare il crowdsourcing per recuperare i migliori talenti scientifici italiani sparsi per il mondo, sfruttando le potenzialità della rete.
Portare il contributo di persone che probabilmente non potrebbero mai lavorare insieme, impedire le distrazioni dovute al lavorare in presenza di altri e lasciar esprimere completamente chi è più introverso, queste sono solo alcune delle potenzialità del crowdsourcing. Lavorare in rete, lavorare meglio.
Naturalmente non si possono tralasciare tutte le ottime peculiarità del lavoro di gruppo, che lo hanno reso strumento insostituibile all’interno delle aziende. Il confronto, lo scambio di idee e la revisione delle stesse, attraverso la discussione, per riportarle sul binario corretto sono i suoi punti di forza. Probabilmente il nocciolo sta nello scegliere il giusto tipo di strumento, tra crowdsourcing e teamwork: la scelta diventa ottima in relazione al progetto alla quale viene applicata, pur non essendo l’una diametralmente opposta all’altra.
E voi cosa preferite? Lavorare assieme ai colleghi chiacchieroni o il tranquillo e pacifico lavoro solitario?