Vorrei cominciare questa riflessione da tre segnali deboli:
- Un amico che porta le pizze e non ha altro lavoro e mi dice con timidezza “beh, sai io sarei perito energetico ma non mi ricordo neanche cosa ho studiato”
- un collega con un parente che abita in Cina che mi dice “la passa talmente tanta gente che comprano anche le cose più banali”
- un incontro un po’ ingessato tra le grandi teste dell’economia e della politica che oltre a dinamiche infrastrutturali e politiche riconoscono nella formazione una leva per rilanciare il paese
Ho chiari ricordi del mio percorso di studi all’istituto tecnico commerciale (ragioneria) scelto perché “magari dopo non hai voglia di andare all’università e trovi lavoro” rispetto ad un liceo chiara anticamera di più ampio percorso universitario. Mi è ben chiaro lo scherno dei liceali verso i tecnici, figli di una preparazione molto più terrena, sicuramente di diversa dignità. Un classismo che oggi si è globalizzato e una delle misure del ceto sociale è il livello di carriera all’estero fatta da tuo figlio, se ne parlava ieri. Vi è poi un chiaro indice di differente qualità percepita tra liceii e istituti tecnici, dividendo anche alcuni di questi dagli altri, con al più basso livello i professionali che conducono ad arti e mestieri come il parrucchiere o il fabbro.
Il problema è che, almeno a Rovigo, questa discrepanza è reale e giustificata. Professori più lassisti, giovani meno studiosi e un cazzeggio generalizzato pervadono gli istituti tecnici. Si crea quindi un circolo vizioso di futuri filosofi, veterinari e ingegneri di buona cultura e famiglia, e un substrato di geometri, periti e ragionieri (cui appartengo orgogliosamente) che cominciano il proprio percorso zavorrati da un’etichetta nebulosa e, spesso, una minore pressione nello studio che si traduce in difficoltà in alcune materie (analisi matematica) all’università, università che va detto aiuta ad espiare ogni peccato: chi se ne frega se l’ingegnere è perito o ha studiato al liceo, è ingegnere!
Questa mia nota, solo per segnalare un problema di “brand sentiment” degli istituti tecnici. Fino a che li riterremo, a torto o a ragione, covi di disgraziati o peggio parcheggi di serie b per i talenti minori, avremo fallito. Tra le ricette che più parti invocano per il nostro paese vi è il rilancio della manifattura, che non può non passare da questi ambienti. La digitalizzazione di queste realtà ed un maggior rigore ad ogni livello potranno dare nuova dignità a questi mondi, e certamente generare un problema di secolarizzazione dei licei che non è però compito di chi scrive trattare. Forse partire “più in basso” nella gestione dei problemi potrebbe essere una soluzione.