Intervengo con colpevole ritardo nel dar conto dell’ottima giornata organizzata presso il parco VEGA per presentare i risultati della ricerca sull’offerta di servizi open source in Italia elaborata dagli amici prima che ricercatori Alessandro De Rossi e Antonio Picerni di Venice International University. I risultati della ricerca raccontano un mercato complesso e per alcuni versi “oscuro” in cui non è sempre facile sciogliere quella matassa di servizi che le imprese richiedono e che il singolo professionista fatica ad offrire senza integrarsi in una rete. I professionisti dell’open source ad oggi ben nuotano nel mare del co-sviluppo e della comunità di pratica, sembrano però faticare nel condividere competenze e task su progetti con un nome e un cognome (di un cliente), considerato forse come vero asset strategico del proprio operato. Mi sembra che tutto questo appartenga alla vecchia mentalità dell’open source, quella in cui la vera leva di successo, l’argomento di vendita, il quid sbandierato, era l’essere low cost della tecnologia, l’incredibile possibilità di avere un erp o un crm gratis, a patto di conoscere un bravo studente con gli occhiali spessi..
Poi è arrivata Red Hat, la brandizzazione del gratuito ed un nuovo modello che ha messo il marketing a fianco dell’open source, contando su parole come industrializzazione del servizio e consulenza per vendere quello che ieri era codice a basso costo.. e oggi?
Ho la fortuna di lavorare su progetti che includono nell’80% dei casi la parola wordpress, un cms open source che spesso le aziende non sanno di possedere ed utilizzare (cosi come non lo sa mio padre con il suo prontocapelli). Il modello di questo open source, che io chiamo open source 2.0, è un modello diverso, un modello in cui lo strumento è solo un mezzo e mai un fine, in cui il tecnico è anche consulente (o si affida ai consulenti) ma soprattutto in cui si è capito che esiste una fetta di mercato (il web oggi, l’informatica aziendale ieri.. ma anche oggi!) che ha limiti di spesa non affrontabili diversamente se non con applicativi low cost come quelli offerti dalla rete, la mia idea è quella che il nuovo open source passa da una forte logica di servizio in cui la vera differenza sta nell’abilità di strutturare desiderata troppo dispersi nella mente dell’impresa, ma anche nel proporre soluzioni in linea con il risparmio da crisi che il mercato ci richiede, i professionisti dell’open source, quelli della vecchia guardia ancor più dei nuovi smanettoni, hanno in tasca da anni la soluzione (e le redini di un mercato immenso), devono solo rendersene conto.. possibilmente prima che i grandi player riescano a pacchettizzare (sas?) i propri servizi rendendoli comparabili (anche se solo in facciata) con quelli offerti da chi questi ambiti li può dominare davvero.