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Intervista ad Andrea Granelli

Consulente, uomo marketing, ricercatore, creatore di start up e di fondi di venture capitalist, tutto questo e molto altro è Andrea Granelli, intervistato per marketingarena da Luca Dalla Villa.


1) Leggo il suo c.v., e leggo una vita ricca di esperienze in vari settori ma sempre con il filo comune dell’Innovazione: a questo punto mi chiedo: che cosa significa per Lei Innovazione?

Vuol dire fare qualcosa di nuovo e soprattutto di utile per un gruppo significativo di utenti, che è disposto a pagare un prezzo per quella prestazione. Infatti l’innovazione si misura dall’impatto che ha sul mercato – da come risolve in maniera diffusa specifici problemi – e non solo dalla sua novità tecnica, dallo stupore ad essa associato. In questo aspetto sta la differenza fra invenzione – fatto tecnico – e innovazione – fatto economico, sociale ma anche culturale.


2) Ha scritto un articolo “Digital Self. Il nostro doppio in rete”, Lei crede che la tecnologia sia uno strumento per potenziare le capacità umane o atrofizzarle?

Può fare entrambe le cose. Generalmente il potenziamento di un organo è a scapito del potenziamento di un altro.

3) Di recente sono stato al Workshop organizzato presso la Venice International University sul turismo culturale in cui ci parlava del ruolo delle nuove tecnologia applicate al turismo. L’argomento che più mi ha affascinato è quello della “multidisciplinarietà per integrare un insieme di linguaggi diversi” ce ne potrebbe parlare anche qui e spiegare cosa intende?

Afferma Braudel: “essere stati è una condizione per essere”. Ogni riflessione sul futuro – anche quello più avveniristico – deve partire da una comprensione del passato. Questo studio del passato – naturale nella psichiatria – è poco presente nell’economia – sempre alla ricerca di segnali deboli, trend e scenari predittivi. Esercizio spesso vano: come osservò Robert B.Dilts nel suo Leadership e visione creativa, “Se si da un calcio a una palla, si può prevedere una traettoria, se si da un calcio ad un cane, no”.
Se l’unico senso della tecnica fosse quello di funzionare, se l’unico senso dell’innovazione fosse quello di generare tecnologie che funzionano meglio, come denuncia Galimberti, in un mondo nel quale la tecnica sembra avere conquistato l’orizzonte dell’uomo occidentale, occorrerebbe rivedere ogni concetto relativo al senso: da identità a storia, da libertà a individuo. Conclude il filosofo che l’unica “flebile speranza” per l’uomo nell’età della tecnica è quella che deriva da un “ampliamento della sua capacità di comprensione”. Solo questa è la strada per riconfigurare il rapporto tra tecnica e uomo: un’espansione della consapevolezza per rimettere al centro della scena l’uomo dopo averne ampliato la capacità di comprensione.
Si tratta di ricreare un equilibrio tra innovazione e società, tra tecnologia e umanesimo. Superare l’idea che l’innovazione sia soprattutto tecnica. Riscoprire il valore dell’innovazione come esperienza umana a tutto tondo, comprendente dunque l’arte e l’estetica, la qualità e la quantità, l’empatia e la conflittualità, l’industria e l’artigianato


4) Innovazione e Design: questo è il binomio che spesso la accompagna e anche rileggendo i suoi ultimi articoli nel SOLE24Ore mi pare di capire che la questione le sta particolarmente a cuore. Ci potrebbe dare una breve sintesi di come si deva evolvere il Design in Italia?

All’inizio del Novecento, l’obiettivo del design era stato di trasferire nella produzione in serie delle macchine le qualità artistiche e artigianali del passato, riproducendo una sorta di unicità. Oggi questo antidoto contro la serialità può essere assicurato dalle nuove tecnologie digitali – grazie al loro potere narrativo, immersivo e personalizzante – purché esse diventino parte integrante e “completante” del prodotto fisico.
Bisogna quindi progettare prodotti e servizi centrati sulle esigenze e gusti del consumatore, in maniera attenta ai costi e alla complessità della produzione e consapevole dell’impatto ambientale (sia nella produzione che nell’utilizzo/consumo e smaltimento). Il design tradizionale fa del prodotto soltanto un oggetto estetico, mentre il design strategico vuole arrivare al prodotto (e anche alla sua dimensione estetica) attraverso la considerazione dei materiali, dell’ambiente, delle circostanze nelle quali il prodotto sarà usato, o delle sue funzioni.


5) “Master in Business Design” ecco uno dei master senz’altro più originali del panorama milanese e italiano, dove Lei Granelli tiene un corso: chi è il candidato ideale a questo Master e cosa può aspirare dopo averlo conseguito. Le faccio un caso pratico: io Luca Dalla Villa studente di Marketing & Comunicazione, potrei essere idoneo?

Certamente si. La complessità dei temi da affrontare e la tensione verso l’innovazione richiedono quasi sempre un approccio interdisciplinare, sia per gli aspetti analitici di comprensione dei problemi che – soprattutto – per la realizzazione di soluzioni autenticamente creative. Servono quindi figure professionali capaci di muoversi lungo diversi ambiti disciplinari per richiedere, verificare e integrare differenti contributi. Ma soprattutto servono persone capaci di progettare o di indirizzare le attività legate alla progettazione (in primis la creatività) e cogliere gli aspetti umani insiti nella scelta e nell’uso di un prodotto e servizio.


6) “Bloggo dunque sono” è una provocazione? No, è semplicemente l’articolo che ha scritto sul SOLE24ore il 30 Marzo 2006. Cosa pensa dell’ esperienza di Noi giovani markettari che utilizziamo un blog per farci conoscere e far sentire le nostre opinioni?

Mi sembra un ottima idea. Però il blog non deve essere solo “show di se stessi” ma anche modo per organizzare il proprio sapere. E quindi anche (e forse soprattutto) spazio personale privato e non solo pubblico.


Luca Dalla Villa per marketingarena

 
 
AUTORE

Luca Dalla Villa

 
 

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