Se vuoi un anno di prosperità fai crescere il grano, se vuoi dieci anni di prosperità fai crescere gli alberi. Se vuoi cento anni di prosperità fai crescere le persone.
Vi rassicuro, questa non è una frase del Vangelo e questo post non parla delle dimissioni del Papa, si tratta invece di un proverbio cinese. Il suo significato è ben chiaro: istruisci degli uomini e avrai prosperità infinita (che a noi cent’anni non ci bastano). Come questo proverbio è applicabile all’agricoltura, credo lo sia pure alla formazione di persone che verranno successivamente inserite in un’impresa: sia questa una fattoria, o un’azienda di software.
Mi frulla in testa una domanda, come si può far crescere le persone?
In questo periodo sto seguendo il percorso verso la laurea di un’amica e dopo aver letto questa frase ho pensato proprio alla sua tesi: “Le competenze nell’Higher Education”. Uno dei suoi guru per la scrittura della tesi è stato Daniel Goleman, psicologo statunitense, che l’ha accompagnata durante tutta la stesura con i suoi libri. Goleman concentra le sue ricerche sul tema delle competenze e dell’intelligenza emotiva; in breve lo psicologo ritiene che le competenze siano “un aspetto personale o un insieme di abitudini che conduce a prestazioni lavorative e professionali più efficaci o comunque superiori”. Elemento chiave per il raggiungimento del successo è l’intelligenza emotiva, la “capacità di riconoscere le proprie sensazioni e quelle degli altri, per motivare se stessi e per gestire bene le emozioni proprie e quelle nelle relazioni con gli altri”.
Far crescere le persone significa quindi, oltre che istruirle a livello scolastico, prepararle ad essere inserite in una società e ad intrattenere rapporti con altri individui.
Prendo ad esempio qualche dato statistico sulla la scelta di un candidato adatto ad una determinata posizione lavorativa: influiscono per il 50% competenze come la capacità di lavorare in gruppo, la flessibilità e la capacità comunicativa. Queste competenze si sviluppano solamente interagendo con le persone e facendo esperienze ed esperimenti sul campo, una sorta di learning-by-doing.
Per sviluppare questo tipo di capacità non servono certamente le lezioni frontali, pratica che invece spadroneggia nelle università italiane. Ma è veramente così? Basta dare un’occhiata ad alcuni siti delle università dello stivale: incontri, seminari e workshop sono sempre all’ordine del giorno e quale modo di sperimentare se non quello di aderire a queste iniziative? L’unica pecca è che la maggior parte delle volte, queste esperienze non sono inserite nella parte obbligatoria della formazione, per cui lo studente mediamente interessato non ne conosce nemmeno l’esistenza, se non è fornito di un minimo di curiosità.
Le possibilità per migliorare le proprie competenze quindi, esistono all’interno delle università italiane, ma probabilmente non gli viene conferita la giusta importanza. Se quello che cercano le aziende è un mix di abilità tecniche e specialistiche e la capacità di gestire sapientemente delle relazioni, non dovrebbero le università fornire ai loro studenti una formazione dedicata allo sviluppo di entrambe le tipologie di competenze?
Alcune iniziative, anche negli anni passati, sono state avviate a livello europeo, ma speriamo di vederle evolvere verso una maggiore coordinazione tra mercato del lavoro e formazione universitaria.
A vostro parere esiste questa coordinazione o siamo ancora lontani dal raggiungerla?
Ringrazio particolarmente la mia amica Cristina per il suo contributo a questo post!