Un po’ di giorni fa mi sono chiesta se il marketing e la tecnologia possano aiutare a migliorare la diffusione e la fruizione dell’arte e della cultura.
La risposta a cui sono giunta è sì. In particolare il proximity marketing e la realtà aumentata possono diventare ottimi strumenti di content marketing attraverso cui creare nuovi contenuti e arricchire l’esperienza del visitatore, narrando storie e facendo parlare le opere d’arte.
Di fatto i musei hanno a disposizione molteplici tasselli, che, se ben organizzati insieme, possono trascinare il visitatore in una vera esperienza emozionale e di socializzazione, trasformando la fruizione dell’esperienza museale in un’avventura multidimensionale, che affianca ai contenuti classici nuovi contenuti generati dal visitatore stesso.
Le esperienze anglosassoni
Nei paesi anglosassoni il connubio fra arte, mercato, turismo e cultura è un potente driver di crescita che permette di attirare non solo la generazione C, ma anche target sempre più consapevoli e impegnati.
La realtà aumentata, ad esempio, consente di aggiungere innumerevoli livelli interpretativi, esperienziali e conoscitivi alla propria visita, e le possibilità offerte da smartphone e tablet in termini di visualizzazione delle immagini costituiscono indubbiamente una risorsa su cui puntare, come dimostra il successo di un’interessante iniziativa del Museum of London, che, in occasione dell’inaugurazione di una nuova ala, ha creato un’App per iPhone. Street Museum, questo il nome dell’applicazione, consente di selezionare una località sulla mappa di Londra, di fotografare la scena che si presenta davanti all’utente e di vedere sovrapposta all’immagine scattata una scena che presenta la stessa location in un’epoca storica diversa. È possibile, inoltre, avere maggiori informazioni cliccando sul tasto dedicato ai fatti storici e infine si invita l’utente a scoprire altri interessanti luoghi di Londra recandosi al museo.
In questo caso vi è stata una sinergia di vari elementi che hanno determinato il successo dell’impresa: il prodotto, l’idea originale e l’effetto virale che hanno portato a trasformare lo “sciame” di utenti in una community.
Si può dire che il progresso tecnologico è destinato a giocare un ruolo fondamentale anche nei processi di fruizione diretta, cioè durante la frequentazione delle sale da parte dei visitatori. Questo fenomeno, iniziato proprio nei musei con l’introduzione di postazioni multimediali e di audio-guide per arricchire l’esperienza museale, sta assumendo oggi un ruolo ancora più importante, grazie a nuove applicazioni di una tecnologia ormai consolidata in altri settori: la Radio Frequency Identification (RFID). A questo termine si associa generalmente la denominazione di “etichette intelligenti” in quanto è l’etichetta (detta anche tag o trasponder) affiancata a un oggetto qualsiasi che permette di collegarsi a un altro dispositivo (reader) che legge l’informazione trasmessa, tramite un segnale radio.
MiArt e altri casi di successo
Interessanti applicazioni di questa tecnologia in ambito museale non mancano: si va dalla traceability alla geolocalizzazione fino all’edutainment. La prima è intesa come la possibilità da parte del visitatore di avere maggiori informazioni sull’opera rispetto alle normali etichette didascaliche poste accanto alle opere. Al MiArt (Mostra Internazionale dell’Arte Moderna e Contemporanea di Milano) è stato presentato nel 2013 il “4G Traceability Sticker”, un sistema che consente di accedere alle informazioni delle opere d’arte esposte attraverso smartphone o tablet: fotografando lo sticker si possono avere le informazioni relative all’opera, come biografie dell’autore, immagine dell’opera, scheda tecnica, ecc. Un’alternativa è quella proposta da Google con l’App Google Goggles (ne è un esempio la partnership tra Google Goggles e il J. Paul Getty Museum): grazie alla funzione di riconoscimento digitale delle immagini, il visitatore può inquadrare attraverso il proprio dispositivo mobile un oggetto esposto e accedere alle informazioni sull’opera d’arte elaborate dallo staff o disponibili sul web.
Un altro interessante esempio è rappresentato dalla collaborazione tra Palazzo Madama e Tonic Minds, uno spin-off del Politecnico di Torino, da cui è nata nel 2014 la guida multimediale “Palazzo Madama Step by Step”, un sistema che si pone a metà tra la traceability e i sistemi di geolocalizzazione. Utilizzando un tablet, offerto gratuitamente per tutta la fase sperimentale, i visitatori potevano scegliere, a seconda dei loro interessi, tra quattro percorsi di visita, farsi guidare dal sistema per raggiungere le opere e via via che ci si avvicina a queste, approfondirne la conoscenza tramite testi aggiuntivi, gallerie di immagini e video. Questo principio della navigazione guidata è stato utilizzato anche dal Museo nazionale di scienza e tecnologia Leonardo da Vinci di Milano grazie all’app “Museoscienzapp”.
Ma che dire della mostra “Disney and Dalí: Architects of the Imagination”che si è tenuta a gennaio in Florida? È la dimostrazione dell’apertura verso nuovi modi di esplorare l’arte. Infatti grazie alla realtà virtuale le persone potevano letteralmente immergersi nel quadro “Dreams of Dalì”, salendo le torri ed scoprendo il paesaggio, imbattendosi anche in personaggi ed elementi di altre opere note di Dalí.
Quindi, secondo me, questo dimostra come il museo debba pensare ad uscire dai propri schemi per raggiungere un’utenza più ampia e interessata, al fine di trasmettere emozioni, non assumendo più il ruolo di una struttura statica, di semplice collezione di opere d’arte, ma diventando un participatory museum. Le opportunità sono tante, basta solo saperle cogliere.