La valutazione della situazione italiana, soprattutto per quanto riguarda la Grande Distribuzione Organizzata, è interessante ed in merito la risposta è stata chiara: Nielsen ha rilevato un sostanzioso aumento del numero di volantini e delle offerte in essi inserite (con conseguente aumento del numero di pagine e di carta utilizzata). Oltre alla promozione dei propri prodotti o servizi, sempre più aziende cercano quasi di “imbonire” i clienti, offrendo tutta una serie di gadget, regali, premi, concorsi, con il duplice obiettivo di un incremento immediato delle vendite e di un rafforzamento della corporate identity. Scendendo nel dettaglio, trovano sempre più spazio i voucher, le riduzioni prezzo e i premi esperienziali, in direzione di beauty-farm, palestre, centri estetici e di benessere generale: la promozione massiva, oltre che complemento alle scelte di marketing strategico, costituisce una scelta chiara a favore del consumatore finale, offrendo al tempo stesso alle aziende promotrici una certa versatilità nelle proposte e l’eliminazione dei costi di magazzino.
Contemporaneamente, oltre ai mezzi tradizionali, diventano sempre più frequenti i cosiddetti “sconti web”dedicati agli iscritti delle newsletter aziendali: i dati parlano chiaro, poiché in alcuni supermercati di una nota catena italiana si sono registrati degli incrementi di vendite attestati attorno al 30% – 40%, con punte massime addirittura sul 70%, grazie proprio a una serie di sconti e buoni spesa disponibili esclusivamente tramite internet.
La forte spinta promozionale rappresenta per le aziende una via quasi semplice e obbligata di incrementare le vendite, ma si configura come una mera battaglia di prezzo, che non affronta seriamente la contrazione dei consumi: i clienti si trasformano sempre più in “cherry picker” (o free rider), usufruendo di volta in volta delle promozioni più convenienti. La distribuzione organizzata in particolare, per rispondere alle scelte promozionali aggressive della concorrenza si ritrova a dover ridurre i propri margini, pur di perseguire gli obiettivi di volume, e a lasciare sempre più in secondo piano fattori determinanti (ma costosi e dalle conseguenze incerte) come la qualità dei prodotti, le strategie di fidelizzazione, la chiarezza dell’offerta. Peraltro, si può intendere come non sia facile abbandonare a cuor leggero queste strategie, visto quanto siano apprezzate dai clienti: si potrebbero, però, promuovere parallelamente altre politiche alternative…
Luigi Rubinelli di Mark Up, a riguardo, porta avanti una tesi interessante per poter uscire dalla crisi e rilanciare i consumi: un’impresa non deve seguire solamente la propria natura mercantile ma deve essere costruita anche secondo una visione sociale. A titolo di esempio, Rubinelli riporta una serie di aziende della GDO che si sono mosse in questa direzione, in Europa: dalla svizzera Migros alla spagnola Mercadona, dalla finlandese Kesko all’italiana Coop.
In particolare Mercadona (in valenzano, “Mercat” = mercato e “Dona” = donna), azienda della GDO alimentare spagnola, merita attenzione. Mercadona, infatti, punta sul valore e sul rispetto della persona, ancor prima che cliente: non apre la domenica, rispettando il riposo di dipendenti e clienti e, conseguentemente, riduce i costi per riversarli sulle riduzioni di prezzo, evitando di fare promozioni e di stampare volantini.
I dipendenti conoscono i turni di impiego con un anticipo di almeno un mese; al tempo stesso, si cerca il più possibile di evitare i cambi di ruolo, così da massimizzare competenze e professionalità. All’interno degli 8 centri di distribuzione situati nel territorio spagnolo, sono presenti delle nursery per i figli dei dipendenti (incentivando, così, il lavoro femminile). Risultato: il turn over è sceso al 3,8%; i dipendenti sono mediamente felici di lavorare per Mercadona e quindi più produttivi, più disponibili, più gentili con il cliente.
I fornitori di Mercadona, poi, hanno una sorta di contratto a tempo indeterminato: diventano partner e “partecipano” a tutti gli effetti ai successi dell’azienda di Valencia. In questo caso si può parlare a tutti gli effetti di “supermercato sociale”, che coltiva il rispetto per l’uomo e – senza ridurre i propri margini – riesce ad offrire prezzi sempre più competitivi.
Restando in Italia, invece, è Coop a fare la parte del leone: la federazione “Consumer International” ha premiato Coop come la migliore catena della grande distribuzione in Europa per quel che riguarda le condizioni di lavoro e i rapporti commerciali con i fornitori dei paesi in via di sviluppo (si veda, a tal proposito, il marchio privato “Solidal”: 84 prodotti a marchio del commercio equo e solidale).
In Italia, oltre a Coop, ci sono casi simili o dovremo aspettare molto tempo affinché le imprese italiane pensino meno al prezzo e più alla persona?