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Farmers’ market

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Abolendo gli intermediari nella filiera produttiva, il risparmio raggiunge il 20 -30%, non male di questi tempi, e in più ci si guadagna in genuinità e freschezza, rispettando l’ambiente.

La differenza tra un mercato tradizionale e un mercato contadino sta proprio qui: nei mercati contadini sono presenti solo i produttori mentre nei mercati tradizionali il 99% sono commercianti che poco sanno della produzione. Da un pò, grazie ad un decreto del Ministero delle Politiche Agricole, ogni Comune ha la possibilità di aprire un mercato interamente gestito dagli agricoltori, seguendo il trend che si sta osservando in Italia; Coldiretti fa notare infatti, che lo scorso anno 7 italiani su 10 hanno fatto acquisti direttamente da un agricoltore almeno una volta, un fenomeno ben noto e in crescita in altri Paesi europei quali Francia e Germania, ma anche negli USA che hanno visto un aumento dei farmers market del 53% negli ultimi 10 anni.
La svolta americana verso una alimentazione più equilibrata si registra nell’apertura di ben 4385 farmers market dei quali 496 nella sola California dove all’opposto cresce l’opposizione alla concessione di nuove licenze per l’apertura di nuovi fast food.
Penso si possa definire questo trend una conquista per il mondo agricolo e per i cittadini, che potranno risparmiare e conoscere da vicino un’agricoltura onesta nei prezzi ed eccellente nella qualità, insostituibile per i benefici che può dare all’ambiente e alla conservazione di cultura e tradizioni locali.
Qualche dato che riguarda il nostro bel Paese: la vendita diretta in campagna è un fenomeno che coinvolge 48.650 aziende agricole, con 21mila cantine aperte dove è possibile acquistare vino, che con il 41 % delle aziende totali, è il prodotto maggiormente commercializzato direttamente, seguito dall’ortofrutta acquistata spesso lungo le strade durante gli spostamenti dell’esodo estivo con il 23,5%, dall’olio di oliva con il 16%, dalla carne e dai salumi (8 % ), dai formaggi comprati in malghe e caseifici (5 %), mentre più ridotto è il numero di imprese che offrono miele (1%).
Questi dati riassumono uno scenario in forte sviluppo dove è facile pensare ci sia posto per un altrettanto florido sviluppo di un tipo di marketing e di comunicazione diversi, più globali, un marketing e una comunicazione che non abbiano il loro fulcro nel prodotto, come ci avevano abituato le grandi catene di supermercati, ma che diventano olistici, concependo il prodotto come parte di un territorio, il quale a sua volta è parte di una cultura che sa coinvolgere e ammaliare.
Se si pensa che oltre a combattere l’obesità e a salvaguardare la salute, i farmers market sono utili anche per i benefici di carattere ambientale in quanto prevedono l’offerta di prodotti che non generano gas ad effetto serra inquinante con i lunghi trasporti, ci convinciamo ancor più di quanto possa essere utile, di questi tempi, sostenere questi mercati anche attraverso una comunicazione più consapevole. Penso si possa intravedere infatti una riscoperta da parte del marketing di questo settore che fino ad adesso sembrava snobbare un po’, forse anche con cognizione di causa visto che gli attori il più delle volte sono consociati o cooperative non sempre ben coordinate in sforzi comuni per far conoscere il proprio operato.

Una nota di colore: sono in aumento in Italia, soprattutto al Nord, i “distributori di latte”, punti self service riforniti giornalmente dalle aziende locali dove fare rifornimento di latte fresco ad un prezzo abbordabile. Accanto a questi “bancolat” sono a disposizione anche distributori di bottiglie di vetro o plastica per chi si è dimenticato di portare il proprio contenitore da casa (www.milkmaps.com )

Fonti: Coldiretti

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AUTORE

Ilaria Paparella

 
 

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