La moda è una brutta bestia. Viviamo in un mondo sempre più complesso, ma al tempo stesso sempre più verticale e chiuso in se stesso. Chi sta credendo nel fenomeno dei makers sa tutto dei makers, ma anche a causa di una rete che punta alla profondità più che alla scoperta ci troviamo catapultati e sballotati da un trend all’altro, senza sapere bene dove andare.
Pensate ai giovani, come orientarsi in questo marasma? Quando mi sono laureato (2007) un buon percorso di finanza garantiva un impiego a Milano, chi invece approfondiva marketing o economia aziendale finiva in qualche grande azienda (Benetton, Diesel, Luxottica o una banca) e i comunicatori già si dibattevano tra un giornalismo in grande mutazione e il web, che addirittura al tempo offriva di più di oggi per chi sapeva “solo” scrivere bene. Altri mestieri, dall’ingegnere al medico, dall’infermiere al geometra, conducevano a esistenze delineate con un basso tasso di creatività e rischio. Oggi però le cose sono cambiate, mentre la disoccupazione giovanile viaggia al 40.4% osiamo parlare di iperscelta. Ed è giusto farlo proprio perché in un mondo in cui hai solo un colpo in canna, non puoi sbagliare. Perché ci stanno dicendo che dobbiamo costruire chitarre cercando i soldi su un portale di crowdfounding? O mollare tutto per fondare una startup innovativa, un marketplace per maker o uno studio di design della comunicazione proprio mentre tutti gli altri chiudono? Il video di pillole di futuro ci ha detto anche questo.
Nel frattempo una banca si racconta con un blog tour e 530 mila imprese muoiono. Sarebbe facile bollare tutto con nuovo vs vecchio, o mondo a due velocità. Ci sta sfuggendo qualcosa: ci sono delle realtà che funzionano bene e benissimo, e tante altre che non riescono ad arrivare a domani, ergo la piattaforma Italia non è del tutto da buttare. Sono i servizi che la stessa eroga, dai mondi della rappresentanza a tutte le infrastrutture fisiche e non, che sono pesantemente da ripensare. I giovani di oggi che vogliono lavorare domani non devono farsi ingannare da un concorso che li porterà alla fortuna o da un biglietto ryanair per Londra: signori, non funziona. I problemi da risolvere la fuori sono tanti, un esempio è “ottimizzare i costi di logistica nell’esportazione del prodotto surgelato”. Ci sono tanti soldi per chi risolve questo problema.
I giovani per lavorare non devono cercare un lavoro: devono cercare problemi e accaparrarsi imprenditorialmente la chance di proporre soluzioni, si può fare con le relazioni o entrando in ecosistemi che le stesse relazioni le intermediano (tipicamente un incubatore che ti permette di conoscere aziende, che sono sempre portatrici sani di problemi, o meno romanticamente una partnership con qualcuno che ha già dei contatti aperti). Credo che i giovani di domani abbiano l’opportunità di lavorare alle connessioni tra le cose esistenti, non reinventeranno la ruota, ma ottimizzeranno l’albero motore. Per farlo non è importante essere uno startupper, un maker o un esperto di internazionalizzazione. È importante avere fame, ambizione e costruire competenza. E si badi bene, la competenza universitaria non fa la differenza, e nemmeno un master la fa. La differenza la fanno sempre le ore in cui altri stano facendo altro e tu stai continuando a coltivare quello in cui credi. Ecco, i giovani faranno quello in cui credono, guadagneranno meno, si divertiranno di più, e aspetteranno di ereditare il maltolto che un sistema che premia il risparmio non investito e non finanzia l’imprenditoria sta generando. Per chi si aspettava una lista, ecco un po’ di mestieri da non sottovalutare.