Su Wikipedia la traduzione di “downshifting” è “semplicità volontaria” che sarà pure una definizione riduttiva, ma mi è sembrato geniale che abbiano riflettuto sul termine fino a precisare che si tratta di una scelta di vita non dettata da ristrettezze economiche, quanto piuttosto dal preciso intento di vivere bene e con poco.
Per analogia ho pensato subito a Lenin con il suo articolo Meglio meno, ma meglio, poi la filosofia Zen sul vivere bene, poi un libro atroce che mia madre stava leggendo “L’arte di ricrearsi” di un certo Osho…poi rendendomi conto che forse le mie analogie erano del tutto insensate, ho cercato su Internet e ho scoperto che attorno al downshifting ruota un mondo di letture (più o meno discutibili a mio avviso), manuali, blog, siti dedicati e chi più ne ha, più ne metta.
Ripartendo dalla definizione, il downshifting prevede “un’inversione di tendenza”, un rimettersi in gioco, un cambiare i propri ritmi e il proprio stile di vita, per costruirsi una felicità che bandisca la strenua corsa al denaro, al successo, al consumismo. Downshifting significa prima di tutto vivere meglio e con poco, dove “meglio” allude alla condizione per cui, liberandoci di tutto ciò che risulta superfluo si riesce a riordinare la lista delle priorità per eliminare tutto ciò che crea stress, insoddisfazione e stanchezza.
Questo ritorno ad uno stile di vita molto minimalista non manca di esempi illustri anche in territorio italiano, dal guru della pubblicità Gavino Sanna che decide di tornare in Sardegna (sua terra natale) a produrre vini, al caso del manager di successo, Simone Perotti (autore fra l’altro di numerosi libri sull’argomento downshifting) che decide di ritirarsi nell’entroterra ligure a vivere di vela e di scrittura.
Insomma Simone Perotti non solo vive meglio, ma vive anche grazie ai soldi di chi è stressato e si compra i suoi libri! Se mai dovesse capitare su questo blog, lo dico di cuore, lo stimo moltissimo e lo considero più furbo di me.
Ora..io sarò sicuramente una donna piuttosto acida e un soggetto ipercritico, però la domanda sorge spontanea: il downshifting è alla portata di tutti? Se tutti ci ritirassimo ad una vita semplice dovremmo demolire gran parte della nostra struttura sociale e culturale? E infine, vivere “con poco” non dipende dalla percezione del “poco” che ogni singolo soggetto ha?
Sicuramente questa scelta di vita prevede alcuni presupposti fondamentali come non avere una famiglia da mantenere, non avere debiti con lo stato o con le banche (intendo anche un semplicissimo mutuo) e quindi partire da una situazione di vita che potremmo definire “agiata”. Casualità vuole che gli esempi di guru del downshifting siano tutte persone che avevano alle spalle professioni di rilievo che fruttavano uno stipendio considerevole.
Se state pensando che Internet sia il primo della lista nelle cose superflue di cui liberarsi, vi sbagliate… a quanto pare il downshifter (che in questo contesto diviene un po’ wwworker) grazie ad internet può permettersi di lavorare in autonomia, lontano dalle caotiche città, con tempi dettati dalla propria personalissima tabella di marcia. Niente di più semplice che lavorare da casa ( dove casa può essere un fantastico appartamento con vista sul mare) tra un pranzo preparato con amore e una corsa per rigenerare mente e corpo.
Raccontare la propria esperienza online sembra essere l’inizio di questa grande rivoluzione e i siti sull’argomento si sprecano, dl blog di Perotti a “Voglio Vivere così” , alla pagina Facebook …compendi brevi per riorganizzare la propria nuova vita.
Mi riprometto di cercare di intervistare il nostro amico Simone Perotti, per fugare qualunque mio maligno dubbio sul downshifting…
Di questi tempi mi risulta difficile pensare che un giovane tra i 20 e i 30 anni, senza aver maturato uno straccio di pensione e qualche interesse sul conto in banca (che probabilmente nemmeno ha!) possa decidere di vivere di “pane, amore e fantasia”, ma se lo dicono dei guru della comunicazione…
Vi segnaliamo anche il precedente approfondimento di marketingarena sul tema