..a meno di non sapere a cosa si va incontro. Obiettivo primario di questo post è quello di far gridare “ancora?” agli orgogliosi laureati e laureandi in una delle più discusse discipline che l’Università italiana ha partorito. Conseguito l’obiettivo, e dimostrato come un titolo belligerante può garantire un po’ di traffico e rumore, parliamo di cose serie, ed affrontiamo 5 punti che anche il laureato in economia (marketing e comunicazione, per la precisione) che scrive, si trova a valutare, con la netta sensazione di essere sulla stessa barca degli sfortunati colleghi:
ci sono più community manager che community: oggi la gestione di una pagina di Facebook è ormai affare di molti, ma non si può dire che il ruolo di community manager puro renda giustizia a chi ha studiato a lungo per poi trovarsi ad applicare con poco margine creativo le regole che un documento di policy scritto da uno stratega impone. Il numero di laureati è tale che la fuori c’è sempre qualcuno a fare questo lavoro (ma davvero ti pagano per stare su Facebook?) a 100 euro in meno
le startup non hanno bisogno di profili di marketing: mi verrebbe da dire “iscrivetevi a infonomia o economatica”, la fuori sono php, ruby-on-rails e magento le parole chiave. Sai costruire qualcosa? Sai creare una grafica? Sei benvenuto. Sai di comunicazione? Eh, abbiamo un laureando che lavora benissimo.. Le università di informatica sfornano pochi laureati, fagocitati dalle richieste. Le università di comunicazione ne sfornano troppi, che di solito galleggiano a suon di stage
le competenze generaliste non pagano: il mercato in questo momento richiede a livello di marketing strategico almeno tre abilità. Lead generation, supporto all’internazionalizzazione, competenza strumentale. Spesso queste competenze non vengono nemmeno trattate in corsi di laurea troppo ancorati a modelli tradizionali
non ci sono più le agenzie di una volta: quasi come in una fisarmonica, il modello agenzia va restringendosi, non esistono più spazi grandi in cui account e project manager gridano fino a notte per inculcare nei giovani metodo, lacrime e sangue. E purtroppo ci ritroviamo a gestire free lance per necessità che hanno saltato a pié pari la gavetta
la comunicazione deve essere “actionable”: i dubbi sul tema non contemplano solo il percorso formativo, ma coinvolgono soprattutto le fondamenta. Internet non può essere parte di un piano mezzi che è sempre meno specchio delle attività che le aziende possono considerare, bisogna invece pensare ad un “piano mezzi su internet” in cui il laureato deve muoversi agilmente, uscendo dall’università non solo con la nozionistica conoscenza della definizione di brick&click, ma anche e soprattutto con la competenza per mettere a mix una dem, una campagna di affiliazione e una strategia di social marketing.
Che fare? La comunicazione è fondamentale, e cosi le università che la insegnano. Il mercato ci sta dando però chiari segnali che parlano di strumenti, strategie e larghi orizzonti. Iscrivetevi quindi, ma non stupitevi se non troverete lavoro se non avete fatto almeno due esperienze all’estero, uno scambio contaminante con altre realtà e discipline, un vostro progetto personale e soprattutto se non avrete costruito il vostro trampolino di lancio, una rete di contatti e connessioni importante e verticale, per entrare davvero nel mondo che interessa. Le persone brave emergono sempre, ma l’asticella si è alzata di molto, ed oggi non basta più un titolo provocatorio per far rumore in rete.. o no?