Non parlerò di una corrente ideologica –politca che in nome di un disgusto per il marketing richiama le coscienze a rifiutare i marchi, o dei vari garbugli con le multinazionali e i conseguenti problemi etici che hanno generato e che genero ancora.
Voglio parlare di una moda diversa, che esalta il concetto di brand image, che fa della coerenza e della speculazione intellettuale il suo vessillo, proponendo forse davvero qualcosa di diverso.
Maison Martin Margiela, alta moda quindi, ricercatezza e stile che da sempre sceglie il bianco come chiave di relazione, dichiarazione di fragilità e di purezza e quindi, affermazione; Maison che rifiuta la spettacolarità in nome dell’understatement più sofisticato, del minimalismo più chic.
In un momento in cui il logo assume un’importanza esagerata, Margiela inventò un’etichetta neutra, una fettuccia bianca cucita grossolanamente dove ognuno poteva scrivere il proprio nome o toglierla; solo dopo si sono aggiunti i numeri, di serie praticamente.
La stilista preme ad affermare che la moda è fatta certamente dell’idea di un singolo ma anche dalle competenze di molti, la condivisione quindi, il riconoscimento di un merito del gruppo è l’approccio moderno con cui s’immagina la crescita di un’azienda.
La forza della Maison sta proprio in questo, rappresentare un modo di essere con la convinzione di una corrente filosofica: trascina il pubblico in sfilate nei luoghi più impensati, ignora il tempo e mostra i capi di collezioni precedenti, esprime concetti complessi proponendo soluzioni apparentemente semplici che in realtà sono frutto di processi artigianali e tecnologici molto sofisticati in un eterno gioco di contrasti che esprime l’ideale etico secondo cui nulla va mai perduto.
Martin Margiela si è formata accanto a Jan Paul Gautier e a Hermes per cui ha disegnato la linea donna fin al 2003 e si è fatta capostipite della scuola belga con Dick Bikkembergs ha dato un apporto sostanziale alla moda negli ultimi decenni proponendo una moda più “umana” che ammette sconnessioni, errore e mancanze.
Anche i suoi show room sparsi per il mondo si caratterizzano per il colore bianco e per la salvaguardia delle loro storie passate, esemplare il caso del palazzo parigino ora show room dell’azienda che ha mantenuto le peculiarità di convento e poi orfanotrofio ricoprendo però tutto di vernice bianca.
Il confine con l’arte è d’avvero labile ma credo sia questa la forza di questa casa di moda, un esempio di sintesi e di coerenza, di una cultura aziendale portata ai massimi livelli che permette di posizionarsi in un vuoto d’offerta tangibile facendo presa soprattutto ad un target di intellettuali e di giovani.
Ventiquattro Magazine