Il dramma in corso a Gaza ha una differenza rispetto a quanto visto negli ultimi 60 anni di conflitto arabo-sionista: assistiamo ad una presenza organizzata di truppe non soltanto sul campo di battaglia, ma anche sui social media. Adoperando le migliori tattiche di ingaggio (è il caso di dirlo) la Israel Defense Force (IDF) sta infatti comunicando in tempo reale al mondo intero le proprie azioni sulla striscia di Gaza.
Possiamo seguire il conflitto in corso in Medio Oriente anche sulla scia degli aggiornamenti proposti da @Idf_Spokeperson, dal loro blog, sulla Facebook fan page, su Instagram. Una lezione sull’utilizzo più corretto dei social media in caso di guerra. I gestori dei profili social IDF fronteggiano quotidianamente delle “crisis”, ma hanno fatto una scommessa importante. Quella di parlare alle persone, di confrontarsi con i commenti, senza intermediazioni e soprattutto senza quella “paura da social” purtroppo così presente in tanti uffici marketing di aziende italiane.
E’ evidente come le rivoluzioni “social” della primavera araba hanno segnato una svolta importante sul modo di comunicare con quella parte di popolazione più ricettiva e sensibile alla politica, quella attiva sui social media. Certo, si tratta di “propaganda” gestita “manu militari”, ma con dei caratteri del tutto inediti. Se gli apparati di difesa statunitensi hanno comunicato su Twitter eventi come l’uccisione di Bin Laden, lo hanno fatto con una buona distanza dagli eventi. Non c’è stato finora un “live tweet” o un aggiornamento continuo sui progressi fatti di giorno in giorno, se non di ora in ora, nei vari teatri di conflitto.
La difesa statunitense non dice cosa sta combinando in Afghanistan, o in Iraq. Le comunicazioni militari israeliane sui social media, al contrario, sono in tempo reale. Nel dettaglio, IDF comunica le operazioni in atto, gli obiettivi appena raggiunti, le attività del nemico, le motivazioni che hanno portato al conflitto armato, i rischi che corrono i civili e cosa si fa per evitare danni più gravi. L’esercito di difesa israeliano dice alle persone il cosa, il come, e il perchè, evidentemente secondo il punto di vista politico del governo di Tel Aviv.. IDF sembra avere una pluralità di interlocutori: l’opinione pubblica mondiale, gli israeliani che vivono sotto la minaccia dei razzi sparati dalla striscia di Gaza, Hamas e gli altri nemici, la popolazione civile di Gaza City. Non è proprio corretto parlare di interlocutori: la bacheca della Facebook fan page è infatti aperta ai commenti, molti dei quali particolarmente aggressivi, ma non c’è alcuna risposta da parte dei gestori della pagina. Stesso discorso su Twitter: nessuna risposta alle menzioni o alle risposte degli altri account. Chissà se un giorno l’esercito israeliano inzierà a discutere con i commentatori. Per questo tipo di interazione servono di sicuro risorse umane molto preparate, con delle responsabilità enormi in termini di propaganda, diremmo “brand reputation”. Da un punto di vista contenutistico, la divisione “social” delle forze armate israeliane presenta una cura estrema: infografiche, foto, video d’animazione, testi perfettamente comprensibili e calibrati, costanza negli aggiornamenti.
Dal mio personale punto di vista, gli israeliani si sono posti precisi obiettivi strategici:
- Rassicurare l’opinione pubblica. Una forma di controllo del “fronte interno”
- Spaventare i nemici con messaggi che esaltano l’efficacia delle misure adottate, o con vere e proprie minacce dirette
- Controbilanciare le attività social antisioniste spontanee e quelle gestite direttamente da Hamas
- Dare un’immagine professionale e “umana” dell’esercito
- Entrare in contatto con un pubblico giovane, come quello dei militari israeliani, in parte insofferenti verso gli obblighi di leva
- Disinformare il nemico, magari fornendo false notizie, depistaggi
- Tracciare la provenienza dei commentatori per motivi di intelligence
IDF ha affrontato l’annoso problema della comunicazione in momenti di crisi, nella fattispecie di una crisi umanitaria e militare, facendo il miglior uso possible dei nuovi media. Il suo approccio può essere considerato già da ora più che corretto in termini tecnici, ma è ancora presto per valutare l’effettivo impatto politico e sull’opinione pubblica di questa iniziativa. I tantissimi casi di crisi comunicative, le imprudenze di molte aziende stanno insegnando come comportarsi anche in situazioni estreme. Situazioni che vorremmo vedere confinate solo on- line e non più sui campi di battaglia.
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