Leggo con discreto sgomento il post “generazione sazia” di Concita De Gregorio. Ed è uno sgomento costruttivo perché l’autrice tocca, ma direi colpisce, temi tanto cari quanto scottanti per chi è nato proprio tra gli ’80 e il’2000 come chi scrive. È tutto vero: siamo giovani viziati, indecisi, impauriti, in crisi di fronte ad un sistema che non ci asseconda e che ben ci guardiamo dal voler cambiare. Il post di Concita sembra però una presa di distanza dalle responsabilità in stile “non è colpa nostra se sono usciti viziati“, cui di certo verrebbe facile rispondere “figurati se è colpa mia se mi hai viziato tu“. Andando più a fondo, però, si scopre che da ragionare ce n’è parecchio, e di certo la modalità “muro contro muro” non solo è insensata, ma è totalmente errata come via di analisi. Perché i giovani non sono grintosi, incazzati, spavaldi, affamati di vita e risultati? Provo a dare tre letture diverse da quelle che l’articolo propone
Ecosistema
Un caro amico mi ha detto di recente: “se tu sei scemo in un paese che cresce del 20% come il Brasile, alla peggio crescerai del 10%”. La situazione esterna a mio avviso è molto condizionante, ho amici a Singapore e docenti di ritorno dalla Cina che dicono tutti la stessa cosa, cioè che la fuori si respira un’aria diversa. I nostri giovani vengono catapultati in un mondo che li esorta a galleggiare, in cui chi prova ad emergere non viene premiato, conviene aggrapparsi ai residui di assistenzialismo da cui succhiare le ultime energie prima che un altro big bang nella ciclica economia o sociologia che viviamo cambi le cose e torni a motivare le persone
Mediocrità
Girarci intorno non serve. L’università e le pubbliche amministrazioni ospitano stupende avanguardie, che portano un 3-5% degli astanti a vivere percorsi virtuosi facendosi trovare pronti alla chiamata della selezione naturale. Gli altri, quelli che non possono permettersi realtà di eccellenza (la cui eccellenza è per la verità tutta da discutere), sopravvivono subendo il 90% delle lezione universitarie, ad esempio, poco utili, con materiali poco aggiornati perché le gratifiche ai docenti arrivano da altro (consulenza) e questi giustamente non sono li per carità cristiana ma per lavoro quindi “danno quello che possono”. Un sistema pigro che educa persone pigre in un cortocircuito di mediocrità le cui scintille ormai non fanno più rumore. Le scuole “inferiori” sono spesso politicizzate e invase da una maleducazione dei figli che è la maleducazione dei padri. Se mai sono stato favorevole al battipanni, forse è ora di armare gli educatori perché il fine giustifica i mezzi. Educatori che devono essere però persone che fanno questo mestiere, e non faziosi e arroganti occupanti del pulpito
Modelli
Altro paradosso. Mi trovo a parlare con un amico scout delle metafore che questo gruppo (cui io non sono vicino, ma di cui mi interesso per curiosità) utilizza per educare i giovani. Sono le metafore della gestione dei progetti e del lavoro per obiettivi. Quegli strumenti che molte grandi aziende, ho parlato recentemente di silos, non stanno utilizzando. Ed hanno ragione i dipendenti che lamentano la lobby, il network, le preferenze come sistemi di promozione che vengono prima del talento e del merito. E non mi si rimproveri se non vado a votare, perché ben certo che le cose non si possano cambiare di fronte a cotanto marcio, a troppe complessità politiche, quando la politica parte da amenità e illegalità già a livello provinciale, e figuriamoci più sopra
Mi verrebbe da dire che sono impegnato a vivere a una vita, non so se ha ragione chi dice che il talento del futuro sarà organizzato in cluster (di cui proprio i criticati tweet sono strumenti abilitanti), sicuramente questa “battaglia delle persone vuote” non può essere imputata a genitori troppo premurosi o figli troppo deboli e inetti. La metafora del rugby per me che abito di fronte al campo, a Rovigo, è perfetta. Di certo quel mordente è andato perso, di certo la fame aguzza l’ingegno, ma la colpa non è dei gormiti. La colpa è di un’unità che non c’è più (infatti vincono i micro ecosistemi in cui le persone si sentono una squadra, le micro aziende in cui si va oltre il lavoro ma ci si sente famiglia, nel bene e nel male), di un sistema paese che va a rotoli, di una generazione che non interagisce anche a causa di quegli strumenti digitali, ma non per colpa degli strumenti stessi, ma di quello che a questi strumenti si chiede. Di quello per cui vengono utilizzati.
Ci sono tanti piccoli segnali di una ribellione silenziosa, la mia sensazione è che questa volta “non ci saranno feriti” ma ne usciremo con una nuova forma di economia, società, famiglia e merito. Serve però il coraggio di fare delle cose nuove perché il modello che interpretiamo è bello che andato, le regole sono tutte da rompere, basta scegliere quella che ci piace di più, e pur nel rispetto di tutti i nuovi specialisti, sento un “profumo di malattie inventate”, nulla che una sana corsa in un campetto non possa sanare.