In questo post voglio analizzare il testo di Jan Carlzon, “La piramide rovesciata”, nel quale l’autore offre un contributo particolarmente importante per quanto riguarda la necessità di un cambio di rotta culturale all’interno delle organizzazioni; le aziende che intendono migliorare la propria situazione e scelgono di percorrere le difficili strade dello sviluppo devono necessariamente ingaggiare i propri dipendenti.
Secondo l’autore è necessario liberarsi di tutte le barriere orizzontali che impediscono la comunicazione e il middle management deve assumere il ruolo di leader e facilitatore nei rapporti con quella che viene definita front line.
Carlzon parla di “momenti della verità”, ovvero il tempo nel quale il cliente incontra un dipendente (pensate ad un addetto alle vendite di un’importante azienda del settore retail) e in quei 15-45 secondi, fissa nella sua mente l’immagine dell’intera azienda. Cosa potrebbe succedere se quel dipendente non fosse trattato, “gestito” nel modo corretto? E se fosse disinteressato nei confronti del suo ruolo chiave? Se non fosse informato circa le proprie responsabilità e grado di autonomia? In poche parole se non si sentisse per niente partecipe e considerato (engaged)?
Di sicuro il cliente tirerebbe presto e molto facilmente delle conclusioni che poi ricadrebbero sull’immagine generale dell’azienda…
Per questo motivo persone, autonomia e leadership sono gli ingredienti principali di questa nuovo modello di business che mette al centro di tutto il cliente e il suo intermediario principale: il dipendente.
Questo tipo di approccio culturale prevede un radicale cambio di mentalità e deve essere accettato ed applicato in tutta l’organizzazione, a tutti i livelli gerarchici e non solo ai livelli più alti del management. Perché tutto questo avvenga, inoltre, “bisogna mettere le persone nelle condizioni ottimali per esercitare tale autonomia attraverso la piena e libera espressione di tutto il potenziale e del talento di cui sono dotate”.
La semplice formazione, intesa come l’acquisizione dei metodi e delle capacità necessari per lo svolgimento di una determinata attività, risulta essere insufficiente se non supportata da un’adeguata in-formazione, che abbia lo scopo di trasferire tutte le conoscenze (obiettivi, compiti, strategie e valori) necessarie per poter esercitare le proprie competenze in un contesto disciplinato dove ognuno sappia perfettamente cosa fare, perché deve farlo e perché sente di volerlo fare.
Ad esempio i piani di sviluppo della motivazione, incentrati sulla capacità di fornire ambienti di lavoro intesi come rapporto con i colleghi, come metodi di lavoro gradevoli, come disponibilità di strumenti adeguati, che fungano da stimolo alle persone, possono rivelarsi di straordinaria efficacia.
Sulla base della considerazione che nessuno aggiunge valore più di chi realmente realizza un’attività, coinvolgere sembra essere diventata la parola d’ordine del management aziendale.
La consolidata tendenza a trasferire a tutti gli operatori aziendali sempre più ampie fette di potere decisionale attraverso la concessione di livelli sempre maggiori di libertà e autonomia organizzativa, ha portato molti studiosi a definire l’epoca che stiamo vivendo come l’empowerment age.
Insomma l’azienda del futuro (accezione generica ma necessaria) è come sempre e forse ancor di più, un’azienda umana ed umano-centrica che cura l’individuo ed anzi, di questa attenzione, ne fa un proprio vantaggio competitivo.
Nel passaggio da economia push ad economia pull, proprio questa capacità di ascolto, integrazione, coinvolgimento e capitalizzazione del contributo sociale sarà sempre più il motore capace di traghettare le aziende in momenti di particolare difficoltà, incertezze e forti lotte concorrenziali.
Per questo, nel futuro, diventeranno necessari strumenti di marketing non solo (classicamente) orientati all’esterno…