La moda fa più rumore della verità. È forse per questo che continuiamo a celebrare la rinascita della piccola impresa osservando con giubilo chi traccia la via maestra, cioè quel 10%, quella punta dell’iceberg che ce l’ha fatta. Ma quando ogni giorno si muove in un territorio complesso e difficile come il Veneto, tra i tanti, si capisce che questa rappresentazione è solo parziale, e ci si impone di ragionare sulle possibilità di costruire un modello diverso, che parta da altre basi. Le PMI oggi:
- Non sanno: quando hai operato per 30 anni in un mercato che veniva a cercarti, a suonare il campanello per avere la tua merce, a implorarti di produrre un altro tavolo, non hai mai pensato di costruire un livello di management, di potenziare altro oltre a un prodotto eccellente, di capire su quali canali vendere quel prodotto e come comunicarlo. Oggi le piccole e medie imprese non sanno dove sbattere la testa e come uscire da un problema che ad ogni livello di filiera (dal produttore che non riceve ordini al negozio che non intercetta clienti) si palesa sempre più.
- Non possono: molte aziende hanno finito i soldi. Complice una serie di investimenti poco assennati e il mancato traino delle fiere negli ultimi anni, gli investimenti sono indisponibili o talmente esigui da essere addirittura controproducenti perché forieri di speranze non confermate dai fatti.
Poi venne il web. Considerato ancora di salvezza e per questo pericoloso, lo strumento che avrebbe risolto ogni cosa, il marketing digitale ed il sito web, o peggio l’e-commerce come nuovo volano per un’economia stagnante. Pensiamo ad un’azienda che produce oggetti in legno e vuole operare in un contesto internazionale senza una presenza digitale di partenza, avrà bisogno di:
- Un sito web
- Una campagna di web marketing
- Un supporto continuativo per i contenuti e la gestione dei Social Media
- Le foto dei prodotti
- Le traduzioni dei testi
- Una gestione dinamica dei portali e dei comparatori di prezzo
- Un’analisi dei dati continuativa
Tutte queste attività hanno un costo di entrata elevato, soprattutto se coordinate visto che servono “più o meno” contemporaneamente, e non è nella democratizzazione degli strumenti (crowdsourcing delle grafiche, open source per i cms) che alberga il risparmio. Cosa accadrà? Accadrà che l’azienda e l’agenzia si metteranno d’accordo su un progetto che non soddisfa nessuna delle due, partirà zoppo e fallirà in 6 mesi tra malumori e un ulteriore disagio economico e progettuale. Pensiamo invece a uno scenario diverso: l’azienda si appoggia ad una “no agency” promossa da un’associazione di categoria (che fa quindi lavorare i suoi artigiani digitali associati, free lance che oggi faticano e arrancano) che grazie a una serie di “template” ed economie di scala riesce a garantire buoni prezzi, ma soprattutto riesce a far accedere l’azienda a bandi e finanziamenti. E ancora conosce progetti come Woodulike* e Lovli che possono rappresentare per l’azienda dei canali preferenziali di vendita. E ancora può formare e mettere a disposizione stagisti in grado di seguire operativamente quella parte di contenuto citata, guidati però da tutor senior il cui costo è sopportato dall’associazione.
La nostra tesi è che debbano esistere meta soggetti in grado di aiutare le aziende, però questi soggetti devono svegliarsi e concentrarsi sull’erogazione di servizi a valore aggiunto che devono andare oltre la formazione e anche oltre l’accompagnamento. Realtà di questo tipo devono esistere per garantire “scala”, diversamente l’idea di raccontare solo chi ce l’ha fatta non regge. Perché spesso chi ce l’ha fatta ha internalizzato competenze di management in maniera randomica (il figlio che ha studiato e decide di rimanere in azienda) ma nessuno ha ancora trovato la regola aurea per salvare i piccoli. Di certo un colpo di spugna ai meta mastodonti ed un lavoro di cesello sulla presenza on line potrebbe essere una via percorribile. Un tema che forse merita una riflessione.
*disclaimer: un progetto che Marketing Arena supporta e partecipa