Tutto nasce da un mio Tweet di ieri, eccolo “più studio #klout più forte è la tentazione di scrivere puttanate, sapendo che sono quelle che aumentano lo share, come in tv..“, e dalle relative risposte (poche, era domenica), tese sostanzialmente ad avvalorare il mio pensiero. Inutile negare però che il “chi ce l’ha più lungo” su Klout o artifici simili (qui una bella analisi dei klout competitor) stuzzica, un po’ come quando si googlava il proprio nome, che fare dunque di questa nuova brutta bestia chiamata influenza digitale?
Non servono analisi approfondite (qui i nostri 7 consigli per aumentare il Klout) per capire che è sulle metriche “classiche” del web che questi “share crawler” si basano per dare un voto alla nostra popolarità, provo ad immaginare:
- Numero di “mi piace” a un post
- Numero di condivisioni
- Numero di retweet
- Rapporto tra follower e following
- Numero di follower dei nostri follower
- Presenza trasversale su tutti i social “agganciati” ai vari sistemi di influenza
- etc..
Cosa sono quindi Klout e compagni? Nulla più che indici, un po’ come gli indici di borsa, che misurano il successo di un titolo azionario in quella giornata. Il fatto è che questo successo dipende dalla popolarità, e la popolarità spesso è tanto più elevata quanto più ironico, sprezzante, banale e frivolo è il contenuto. Il problema quindi non sta in klout, ma nelle persone. E nemmeno nei lettori, ma in chi “reagisce” a questi indici. Dire che un klout elevato fa di te una tweet star o un evangelist della rete è una gran cavolata, cosi come guardare ogni giorno il proprio score per capire a che punto siamo.
Ma fino a quando, per essere molto banali, il nostro articolo sui 7 consigli per alzare il proprio klout score continuerà a doppiare una “pensata” sul fordismo digitale, allora Klout (come il grande fratello, come la pagina “tua madre è leggenda” su facebook -per altro fantastica – continueremo a meritarcelo)