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Back to brand: perché dobbiamo parlarne

Commodity. È difficile immaginarsi una parola più spaventosa per chi si occupa di marketing. Si può dire che rappresenti ciò che la kryptonite è per Superman. Inibisce, mette paura, mette a nudo tutte le debolezze. 

Eppure è un rischio tutt’altro che remoto, vuoi perché viviamo in mercati su scala globale, per la facilità di ricercare informazioni e confrontare prodotti e servizi, per la pressione sui prezzi figlia di scenari economici poco floridi, per gestioni miopi delle operations legate al marketing. Soprattutto in contesti B2B.

E proprio su quest’ultimo punto vogliamo fermarci a riflettere. Si, perché la pazza corsa alla lead generation che si è vissuta in questi anni ha probabilmente fatto dimenticare quanto importante sia lavorare per costruire, consolidare, curare l’immagine di marca. Soffocati dalla necessità di portare risultati di breve periodo e ingolositi dalla possibilità di infoltire a tutti i costi il CRM con un contatto in più, ci siamo tutti illusi che con poche centinaia di euro quel prodotto o quel servizio avrebbero trovato un target pronto a richiedere un preventivo. 

C’è un bellissimo articolo di HBR di un paio di anni fa che analizza gli elementi del valore che un buyer B2B mette sul tavolo nel momento in cui deve decidere da chi acquistare, riproducendo una sorta di piramide che parte dai bisogni di base e arriva a quelli più intimi e personali. Citando un estratto “as B2B offerings become ever more commoditized, the subjective, sometimes quite personal concerns that business customers bring to the purchase process are increasingly important”.

Tornare a parlare di brand ci forza quindi a rispolverare l’essenza più intima del motivo per cui i brand esistono: per allontanare l’attenzione dalla variabile prezzo, per ricordare che c’è molto altro oltre all’ultima riga del preventivo. Lavorare sul valore piuttosto che giocare la guerra dei poveri è senza dubbio più intellettualmente stimolante anche per i talenti di cui ogni azienda ha bisogno, giovani in cerca più di significati profondi che di stipendi: le HR di sicuro ringrazieranno. Ci costringe ad analizzarci e a chiederci che ruolo ha il nostro brand nel contesto competitivo, di che valori si fa portavoce, perché è stato concepito. Insomma, ci costringe a tornare alle origini.

Tornare a parlare di brand ci stimola anche ad ampliare l’orizzonte temporale di riferimento delle nostre attività. Se costruire un brand fosse una gara di atletica sarebbe molto più simile ad una maratona che ad uno sprint sui 100 metri. Ogni dettaglio va pianificato e se non si segue una rigorosa tabella di marcia si rischia di non tagliare il traguardo. Nel B2B, dove si usa dire che “si vende di relazione” ma non si è perso il vizio delle cold call e del vendi e fuggi, alzare la testa e pianificare attività Account Based è sempre più conditio sine qua non per sopravvivere. Ma questi Account non sono lì ad aspettare una pubblicità su Facebook che parli di noi, una landing studiata ad hoc e una bella mail di ringraziamento. O l’ennesimo e-book. Soprattutto al crescere della complessità del bisogno che si punta a soddisfare è necessaria una leadership culturale che non si improvvisa e tantomeno si compra.

Tornare a parlare di brand secondo noi significa ripartire da alcuni temi chiave e ritornare a dialogare con attori organizzativi forse trascurati fino ad oggi.

Vogliamo proporvi un approccio al branding un po’ diverso, che parte da una presa di posizione: lo storytelling ha i giorni contati. La dura verità è che abbiamo troppe volte fatto affidamento sullo stretching dell’immagine di marca, esposto al pubblico ludibrio della narrazione patinata, del real time marketing e della corsa all’engagement. Ci siamo però dimenticati del marketing, di cui la comunicazione è figlia e forse madre, ma nessuno può negare la relazione biunivoca tra queste competenze e, ci viene da dire, scienze. Quindi? Quindi è ora di tornare ad un approccio di dimensionamento del mercato, per capire come il brand reagisce in contesti internazionali e intergenerazionali. È ora di capire che i mercati non sono conversazioni, sono relazioni. E soprattutto in contesti B2B l’ombrello del brand supporta la forza commerciale e di caring nel massimizzare il valore di queste relazioni. In termini sì di capitale economico, ma anche umano e culturale.

Cultura, intesa come filosofia. Dopo lo storytelling, anche il personal branding passa la gogna dell’indiziato. Architetti della narrazione personale ci hanno convinto che la finzione narrata con cui viene impostato il piano editoriale personale di un manager gestito da un ufficio stampa potesse reggere. Non è così, il capitale culturale e soprattutto mission e vision devono partire dall’azienda e dal suo brand, e le persone se ne impossesseranno, lo influenzeranno e modificheranno, ma sarà sempre l’azienda ad essere il faro per guidare le navi in porto. La comunicazione, soprattutto interna, non è mai stata così importante per disegnare un concerto in cui nessuno prenda la stecca. Ed i valori di marca sosterranno la sfida solo se chiari e incontrovertibili. 

E poi le manifestazioni della marca, i touchpoint, per dirla da consulenti. A noi piace chiamarli artefatti, feticci digitali o fisici ove il brand si manifesta. La progettazione di questi momenti, di queste epifanie, deve essere certosina e chiara. Così come la tecnologia di supporto, perché è facilissimo scadere nel cliché della tecnologia fine a se stessa. 

È tempo di togliere il velo, di smettere di narrare e raccontare. È tempo di prendere atto e comunicare, perché il re è nudo. E il re è il brand. Siamo di fronte ad un’opportunità importante, quella di riportare le competenze e i prodotti al centro dello scenario di marca. Investendo nelle relazioni tra le persone per abilitare questi processi. Paradossalmente il B2B è l’ecosistema migliore dove tutto questo può accadere.

Torneremo a parlare di brand. Lo faremo a modo nostro già nei prossimi giorni con una serie di eventi online in cui sviscerare questi punti con chi tutti i giorni è corpo e mente immerso in queste attività. Iscriviti al link.

Back to basic.

Back to business.

Back to brand.

Giorgio e Alberto

 
 
AUTORE

Alberto Casna

Animale sociale dal 1990. In fissa con e-commerce e retail management. Esploratore.
 
 

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