Il 2007 ha rappresentato per il nostro “Bel Paese” un anno non particolarmente felice, caratterizzato da un grado di insoddisfazione generalizzato in tutti i comparti d’Italia e, ad avvertire tale situazione, non sono solo gli italiani!
A dicembre 2007 alcune osservazioni sullo stato di salute del nostro paese sono arrivate da oltreoceano: il New York Times ha descritto gli Italiani come il popolo più triste d’Europa.
Qualche giorno più tardi il londinese Times cita testuali parole:
“La dolce vita diventa amara. L’Italia deve fare i conti con l’essera vecchia e povera.”
Secondo il quotidiano anglosassone il malessere che avvolge l’intera Italia va oltre l’aumento dei prezzi e la stagnazione dei salari, ma raggiunge la stessa anima e identità del Paese.
L’articolo poi prosegue citando i numeri della crisi italiana:
- 0%: tasso di crescita della popolazione italiana
- 42,5: età media degli italiani
- 65: un italiano su cinque ha più di 65 anni
- 1,29: figli per donna italiana
- 120: giorni di lavoro persi ogni anno per scioperi
- 7%: tasso di disoccupazione
- 106%: livello del debito pubblico rispetto al PIL (è il sesto peggior valore al mondo)
Facendosi un esame di coscienza sarebbe giusto chiedersi allora quali sono le cause del “male italiano” e da dove bisogna iniziare per aggiustare tale situazione.
Molti sostengono che i risultati ottenuti dipendano dalla presenza di una classe dirigenziale (politica ed economica) “vecchia”, con una propensione ad innovare pari a zero, il cui unico obiettivo è restare saldamente aggrappati alle posizioni occupate, altri puntano l’indice contro le nuove generazioni descrivendole come gruppi di individui fannulloni e privi di aspirazioni.
Personalmente sono convinto che tale situazione sia il prodotto di una moltitudine di cause che per molto tempo sono state trascurate portando il nostro paese in una situazione alquanto infelice; è necessaria dunque una svolta che porti l’Italia ad un nuovo periodo di splendore economico, e speriamo che il nuovo anno possa rappresentare tale svolta.
In fin dei conti dobbiamo renderci conto, come scrive Beppe Severgnini, che “certe analisi non sono il problema, ma la sua rappresentazione; e se ciò che vediamo non è bello, la colpa non è della mano che regge lo specchio, ma del proprietario della faccia”.
Thomas Longo
Fonte: Corrieredellasera.it