E’ polemica di questi giorni il fatto che i politici nostrani abbiano un po’ snobbato l’appuntamento dell’inaugurazione della Fiera del Mobile, evento ormai di portata globale.
Fiera di un settore che produce quasi 9 miliardi di export e che rappresenta una delle migliori sintesi del made in Italy, ricchezza prodotta da migliaia di aziende che nel 95% dei casi non superano i 10 dipendenti. Meglio non spiegare al cinese che ha appena speso 120 mila euro per allestire i suoi show room o l’arabo che deve arredare i grandi grattaceli della penisola arabica in stile italiano, che in Italia sono tutti occupati nel dibattito sul futuro del partito democratico o a vedere in che mani andrà a finire Telecom..
Rosario Messina, presidente della Cosmit, società che organizza il salone, è stato infastidito dai problemi dell’intasamento del traffico intorno alla fiera ma gongola per i risultati commerciali: sono stati stimati infatti 260 mila visitatori di cui il 60% stranieri e tre su quattro hanno lasciato la fiera di Rho solo dopo aver fatto acquisti. Milano come una grande città portuale dove senti mille idiomi tutti insieme, dove ovunque ci sono feste, mostre ed eventi paralleli, dove tutto il mondo viene a vedere le cose belle. Tedeschi, americani, russi, vengono non solo per lo spirito goliardico che da sempre ha caratterizzato le nostre terre ma con lo spirito di rivivere gli anni della Dolce vita, mangiando bene e facendo acquisti che esulano dai soliti souvenir, e spesso arrivano per fare una settimana di vacanza nelle nostre montagne o nel nostro mare.
Viene da chiedersi da dove sia nato tutto questo, e la risposta è molto più semplice del previsto. Tutto questo è nato tanti anni fa nei laboratori o nelle falegnamerie brianzole o del veneto, gente che ha l’orgoglio di essere la spina dorsale dell’economia industriale, non finanziaria, che rischia in proprio e non può permettersi di perdere un minuto, pena il fallimento. Gente come Claudio Campeggi che mostra l’ultimo divano rosso disegnato da un grande designer e ricorda che il segreto del design italiano è la convergenza intellettuale tra il manager e l’artista che trovava il suo compimento in un’artigianalità senza pari nel mondo e che di questi tempi rischia di sfuocare in nome del marketing.
La fiera milanese ci ha mostrato come un evento capace di raccogliere le scosse creative ma anche le radici profonde dell’imprenditoria italiana riesca a generare un’energia tale che probabilmente, per alcuni giorni almeno, l’eterna competizione con i paesi dell’Est diventa fuori luogo poiché anch’essi riconoscono il plus valore dei prodotti italiani, un’energia capace di attrarre migliaia di visitatori in una città trasformandola centro nevralgico di un mondo e di un universo di senso.
La riflessione che mi viene da fare è allora quella di un compromesso tra artigianalità, intesa oggi soprattutto come qualità e tecnica di lavorazione innovativa e all’avanguardia e marketing, ritornando all’eterno dibattito che forse il marketing, da solo, lascia il tempo che trova. Secondo voi senza un retaggio culturale, senza lavorazioni frutto di decenni di apprendimento continuo, senza la passione di imprenditori che si mettono al servizio di creativi ed architetti, lo sforzo organizzativo e finanziario di una fiera come quella di Rho, avrebbe avuto lo stesso successo, per gli imprenditori e per la città stessa?
Ilaria Paparella per marketingarena
Alcune foto su: http://www.designpeople.it/
Fonte: Il Sole 24 Ore