Sono sempre di più gli italiani che decidono di lasciare le loro città per tentare di crearsi un futuro migliore all’estero e Londra è senza dubbio una delle mete più gettonate. Tra le persone che hanno scelto di fare questo salto nel vuoto c’è anche Alessia Camera, una giovane vicentina che quasi tre anni fa ha deciso di lasciare il suo posto di lavoro nella classica PMI veneta per fare il salto di qualità all’estero. Oggi è community e social media manager di Playstation. L’abbiamo intervistata per capire quali difficoltà ha affrontato nel passaggio dall’Italia all’UK e per rubarle qualche consiglio per chi sta pensando di fare la sua stessa scelta.
Ciao Alessia, com’è stato il passaggio dalla cittadina veneta alla grande metropoli internazionale? E soprattutto, come sei arrivata a lavorare per un colosso come Playstation?
Sono partita dall’Italia con la voglia di mettermi alla prova in un campo che mi appassionava moltissimo ma in cui non ero ancora riuscita a mettermi completamente alla prova, cioè il marketing digitale. Ma sapevo anche che non volevo “andare a Londra per imparare bene l’inglese”, come fanno molti. La mia voglia era quella di mettermi in gioco e di lavorare seriamente in un settore ben preciso. A Londra ci si può riposizionare davvero essendo proattivi. Non sono andata allo sbaraglio. Ho scelto di essere super focus e di andare dritta per la strada che avevo scelto, ed ho iniziato a lavorare per due startup londinesi. Grazie a questa esperienza, sono riuscita a crescere e a farmi conoscere nell’ambito che per me era importante. Poi è arrivata Sony… A Londra la voglia di fare viene premiata col merito sul serio! È una città davvero accessibile a livello di opportunità, se sai quello che vuoi fare. Ma devi sbatterti!
Che differenze ci sono tra la ricerca del lavoro in Italia e le modalità con cui l’hai fatto a Londra?
La cosa che è essenziale e che fa la differenza, a Londra come da noi, è la consapevolezza delle proprie skills. Poi è essenziale costruirsi un buon network, nella vita di tutti i giorni ma anche su Linkedin, anche tramite la frequentazione dei posti e degli eventi giusti per il settore in cui vuoi iniziare a lavorare. Linkedin all’estero è importantissimo, ma devi sapere bene quello che sei e quello che vuoi fare. Ai colloqui, poi, non puoi raccontargliela. Vogliono i numeri, vogliono sapere quanti clienti hai fidelizzato, quanti lead hai raggiunto, vogliono sapere che cosa fai davvero. Non è la posizione chehai ricoperto ad importare ai selezionatori. È quello che fai concretamente ogni giorno.
Come sei stata accolta a Londra? C’è una sorta di pregiudizio verso chi ci si trasferisce a cercare fortuna?
Un po’ si e un po’ no. Tra i giovani c’è moltissima voglia di internazionalità, di contaminazione e di confronto, mentre nelle fasce di età più alte, già dai 40 anni in poi, ci sono stereotipi molto più sentiti.
La tua esperienza all’estero è iniziata con il lavoro nelle startup per poi fare il grande salto alla multinazionale. Quali differenze ci sono, oltre alle dimensioni?
Fondamentalmente la differenza più grande sta nel fatto che nelle startup si è tutti impegnati, ogni minuto della propria giornata lavorativa e non solo, per raggiungere lo stesso obiettivo. Nelle grandi corporate, invece, capita spessissimo che si debba lavorare per raggiungere obiettivi diversi anche all’interno dello stesso team di progetto.
In che cosa consiste il tuo lavoro a PlayStation? Sei appassionata di videogiochi o hai avuto bisogno di costruirti un bagaglio di conoscenze del settore per poterci lavorare?
Io coordino e gestisco i contenuti branding all’interno di una community di oltre 30 mila follower composta da amanti dei videogiochi. Personalmente non sono certo una gamer esperta, ma nella community ci sono utenti molto esperti e molto attivi che si fanno portavoce dei contenuti di brand come veri e propri ambassador. Magari se li publicassi io in prima persona non se li filerebbe nessuno, perché non sono autorevole come loro. Non serve essere un gamer. Ci sono già ed è il caso di usarli.
Torneresti in Italia?
A livello culturale mi manca molto, ma allo stesso tempo mi piace l’esperienza che sto vivendo perché sto crescendo tanto e qui non vedo barriere alla mia crescita. Pare una frase fatta, ma due anni a Londra ti danno davvero l’esperienza che in Italia ti fai in cinque anni.