Cosa, come si fa?
Non ne ho idea. Fine dell’articolo.
No, dai, scherzi a parte. Scommetto che anche a te è capitato: ti siedi, stai per metterti a lavorare e…ti ritrovi con il cellulare in mano; hai appena buttato le cotolette sull’olio bollente ma c’è la tv che sta dicendo una cosa interessante e…cotolette bruciate; e così via. Sì, scommetto che anche a te è capitata questa strana, stranissima esperienza: la distrazione.
Ma che cos’è la distrazione? Si può davvero combatterla, sino a diventare indistraibili? Ecco, ecco: con le informazioni contenute in quest’articolo e tratte dal libro di Nir Eyal “Come diventare indistraibili” (Eyal, 2020), forse possiamo capirci qualcosa. Consiglio, in ogni caso, di approfondire con la lettura del suddetto testo.
Disclaimer: dopo aver letto quest’articolo, sarai indistraibile? Ma non diciamo fesserie. Tuttavia, sarai più cosciente del problema e di alcune pratiche utili per gestire la distrazione.
Partiamo.
Punto primo: cosa vuol dire distrarsi?
Vuol dire distogliersi da ciò che abbiamo scelto di fare, in un dato momento, perché per noi ha valore. Attenzione: scelta, tempo, valore. Queste sono le 3 paroline magiche. Ok, ma se è tutto qui, allora per sconfiggere la distrazione basta un buon “time management”. No?
No. Perché se questa è la tua risposta, allora non hai capito la radice profonda della distrazione: il disagio. Quando ci distraiamo, lo facciamo perché la situazione in cui siamo non ci fa stare bene: perché stiamo mancando un nostro bisogno. Es. mi sento solo? Mi distraggo guardando i social. Non servirà eliminare il social: il bisogno inespresso rimarrà e io troverò un altro modo per distrarmi. Distrarsi vuol dire, anche ed in un certo senso, esprimere un dolore che non riusciamo a gestire.
Ecco, quindi: gestire la distrazione non è (solo) una questione di time management: è anche un tema di gestione del dolore.
Quindi intanto andiamo in terapia, per favore. Ma, mentre che ci dirigiamo verso il posto dove avremmo dovuto andare molto tempo fa, proviamo a comprendere meglio alcuni concetti che ci permettono di inquadrare meglio la distrazione. Plus: proviamo a darci anche delle soluzioni-salvagente.
Let’s go.
Uno. Trazione: antitesi della distrazione, ovvero, l’azione che ci trae verso la vita che vogliamo, verso i nostri valori ed obiettivi.
Se perdiamo cognizione della direzione nella quale vogliamo muovere la nostra vita, sarà estremamente difficile distinguere tra ciò che è trazione e ciò che è distrazione. E più forte è questa disarmonia nella nostra vita, più forte è il disagio, più forte sarà la distrazione: e la produttività va giù, caro imprenditore. Cosa possiamo fare?
- Operazione filosofica: comprendere ciò che ci dà valore, ciò che vogliamo essere. Questa è la nostra stella polare, in direzione della quale potremo stabilire una pianificazione sensata. Chi ha detto che la filosofia non serve a niente? Eh? Eh?
- Prima razionalizzazione del tempo: essere consapevole che, per stare bene, bisogna a) ritagliare tempo per se stessi b) ritagliare tempo per le relazioni importanti c) tutto il resto;
- Seconda razionalizzazione del tempo: prendere quanto detto sopra e realizzare una bella pianificazione su base settimanale. Sguinzagliate i time managers. È grazie ad essa che riusciamo a stabilire se le nostre azioni sono di distrazione, ovvero se ci stanno distraendo da ciò che abbiamo scelto di fare, in un dato momento, perché ci dà valore. Sia esso lavorare ad un progetto o scrollare il feed dei social.
Chiaro, più facile a dirsi che a farsi. Ma per ridurre le occasioni di distrazione, questi sono consigli che è bene seguire, nei limiti del possibile.
Due. Trigger Interni, ovvero gli “stimoli interiori” che ci fanno agire.
Del tipo, sento un languore, cerco cibo. Per ridurre la distrazione che deriva da questi stimoli, dobbiamo comprenderli ed imparare a gestirli. Poco servirà reprimerli e basta. Che possiamo fare, quindi?
- Operazione filosofica: comprendere il trigger a) cogliendo il bisogno sottostante b) “stando” con la sensazione, esplorandola c) posticipando l’azione distraente (posso farlo tra 10 minuti);
- Prestare attenzione ai momenti liminali: passaggi da un’attività all’altra. È in questi casi che è più facile distrarsi;
- Re-immaginando il compito: approcciandolo con curiosità e sfida, ossia, le basi del divertimento e le cure per la noia;
- Re-immaginando il temperamento: a) capendo che la perdita di volontà è momentanea b) smettendola di definirsi come dotati di scarso controllo (controproducente) c) avendo compassione per se stessi, evitando di autoinfliggersi sensi di colpa in merito alla propria inadeguatezza.
Questi sono solo alcuni consigli di base per iniziare. Sta a voi, poi, approfondire.
Tre. Trigger Esterni, ovvero, “stimoli esterni”, come suonerie, odori, colleghi che ti parlano all’orecchio.
Questi stimoli possono sia aiutarci a rimanere focalizzati che farci perdere nel mare della distrazione. Prendiamo il caso dell’oggetto del diavolo n°1: lo smartphone. Fonte infinita di informazioni utili quanto di occasioni di distrazione. Vediamo alcuni, semplici, suggerimenti per limitare “i danni” a cui il cellulare ci condanna nella vita tutti i giorni:
- Eliminare le app non necessarie: creano “opulenza visiva”, facendovi perdere tempo e portandovi fuori strada;
- Sostituire i luoghi di fruizione: ad es. ho deciso di guardare Netflix in un certo slot temporale. Posso farlo sul pc? Sì. Elimino l’app tentatrice dal mobile;
- Riordinare le schermate in modo che le app più importanti siano facilmente reperibili, mentre quelle meno importanti siano difficilmente accessibili;
- Togliere le notifiche inutili: forse la cosa più banale, ma scommetto che pure tu ne hai a frotte.
Quattro. Patti. Eh sì, perché fare i patti col diavolo non aiuta: ma quelli con se stessi, entro certi limiti, sì.
Essi mimano le costrizioni sociali che ci spingono ad adottare determinati comportamenti per essere coerenti con noi stessi e con le aspettative del nostro in group.
Di seguito, vediamo alcune tipologie di patti:
- Patti che richiedono fatica per essere rotti: app come Selfcontrol, Forest e Focusmate possono aiutarvi a creare delle costrizioni “faticose” da rompere;
- Patti di soldi: sfruttano la nostra avversione alla perdita, ma possono essere pericolosi. Meglio usarli per breve periodo e in situazioni casi molto particolari.
- Patti di identità: sfruttano la dissonanza cognitiva. In pratica, definendoci in un certo modo, comunicandolo agli altri e applicando rituali, creeremo una costrizione che ci spingerà verso quella identità.
E in azienda, accidenti, come si fa?
Beh, dovete sapere che, spesso, la distrazione in ambiente di lavoro non è solo causata da trigger esterni (ping, rumori vari etc…), ma da un disagio psicologico (trigger interni) dato dall’approccio aziendale alle persone. Questo “malapproccio” va sotto il nome di “cultura aziendale disfunzionale”. Vediamo i fattori che la alimentano e che, nel peggiore dei capi, possono portare le persone dell’azienda verso la nera depressione (c’è poco da scherzare quindi!):
- Tensione/stress da lavoro: in ambienti dove i dipendenti devono soddisfare aspettative alte, ma non hanno la capacità di controllare gli esiti del proprio lavoro;
- Disequilibrio sforzo/ricompensa poca gratificazione del proprio lavoro in termini di riconoscimento e/o salario;
- Logica dell’always on che causa un calo di controllo sulla propria vita e sulla gestione del proprio tempo, sia in ambito lavorativo e non;
- Mancanza di comunicazione: tra le parti;
Questi sono gli aspetti che sostanziano la cultura disfunzionale, madre generatrice del disagio alla base della distrazione.
Embé che si fa? Beh, bel problema. Quel che è poco ma sicuro, è che alla base di tutto c’è, dicevamo, una mancanza di comunicazione: quella comunicazione che riesce ad identificare il problema, e su questo costruire un accordo, e non un compromesso (il compromesso è il veleno delle relazioni, con noi stessi e con gli altri). Oltretutto, Un ambiente di lavoro in cui le persone non possono parlare è anche un ambiente in cui queste persone tengono per sé problemi e idee importanti.
Vediamo alcune best practice messe in atto in aziende come BCG, Google e Slack:
- Creare uno spazio di lavoro sicuro: dove le persone possano discutere apertamente. Ascoltare tutti non vuol dire fare quello che tutti vogliono. Ma senza l’ascolto non è possibile né sanare conflittualità, né scoprire nuove soluzioni;
- Creare canali di feedback: e/o riunioni dove i dipendenti possano comunicare le proprie idee o lamentele con il team e/o azienda;
- Ridurre il circuito della responsività: il famoso always on, migliorando la gestione del tempo di lavoro e rispettando il tempo altrui (It’s ok to be offline);
- Educare il management ad ammettere la propria fallibilità, al lavoro come ad un problema di apprendimento e all’ascolto.
Fine.
Questo è tutto, folks: ora sapete qualcosa in più. Sarete diventati indistraibili? Come dicevo all’inizio di quest’articolo, col cavolo. Ma, nonostante tutto, vi portate a casa qualche consiglio e riflessione utile ad affrontare il mare della vita.
Hold on.
E ricordate: a volte, anche il dolore può essere un’occasione: cercate di portarvela a casa.
Mi raccomando 😉