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Non serviva di certo la penna acuta di Gianluca Diegoli, il minimarketer, per capire che la pubblicità “tradizionale” non attraversa un bel momento, il suo articolo su apogeo però ci dice qualcosa in più, in particolare Gianluca solleva due temi forti: il primo è legato al fatto che l’advertising on line non è poi cosi florido come sembra, il secondo riguarda invece l’assenza di un indirizzo preciso per brand e aziende che intendono migliorare la propria presenza sul mercato, anche con dei budget a disposizione.

Ci siamo detti, fino a ieri, che internet è una grande opportunità per le pmi e che la scarsa flessibilità delle grandi imprese permette ai piccoli di modificare il contesto competitivo, Gianluca ci dice invece che siamo di fronte alla vendetta del marketing one to one perchè il numero dei pesci non è cambiato ma il lago è diventato un mare e per pescarne uno è necessario concentrarsi solo su una specifica zona, assolutamente antieconomico per pescatori abituati a gettare pastura di media qualità (cambiando saltuariamente i colori e i soggetti) attingendo a piene mani da un modello ormai consolidato. Già, il modello, è proprio questo uno dei grandi problemi che affliggono il social media marketing, manca un modello di allocazione del budgt ben definito, le metriche non sono standard e sono spesso oggetto di elaborazione (kpi) fattore che le rende manipolabili e difficilmente confrontabili. In assenza di un faro l’unica vera idea vincente sembra essere quella di contare le persone che entrano dalla porta del negozio o acquistano un certo prodotto, ma non ci eravamo detti che il social media marketing non fa vendere? Che fa brand? Che avvicina l’azienda alle persone e influisce sul “building & management” di relazioni? Si, e lo confermiamo. La realtà è che le aziende farebbero volentieri a meno dei social media, del web e delle persone cosi attive, ci chiediamo se la presa in giro “a tam tam” su facebook di valentina della tim (il cavallo) potrà avere effetti positivi o negativi sul brand, ma ne avrà? Dobbiamo davvero pensare che ogni cosa legata al brand è per forza una minaccia o un’opportunità? Non è ora di rivedere questa analisi swat? La realtà potrebbe essere legata ad un nuovo concetto, quello del brand ceduto “a pezzetti” come i siti cedono il pagerank e “passato” ai consumatori per farne ciò che meglio credono in reazione alla comunicazione tradizionale o peggio a politiche di marketing mal riuscite (ecco la Marcuzzi etichettata come regina dell’intestino).

Che confusione! La grande domanda ora è la seguente: Come fare? A chi affidarsi? La risposta non è univoca, di sicuro è facile prevedere che l’ignoranza delle nuove piattaforme non pagherà.. ma forse nemmeno l’esasperazione dell’a/b testing potrà nel tempo sorreggere le strategie di lungo periodo, tra creatività, economia della conversione e social media marketing di certo la necessità più impellente è quella di una strategia e soprattutto di un’idea di azienda e brand che risulti il più trasparente e difendibile possibile, forse il modello più sensato è quello “io offro questo prodotto o servizio, ti interessa?” sostenuto da un ritorno al passato necessario dopo aver compreso che una certa complessità, le nostre imprese, non sono in grado di sostenerla..